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“In nome dell’amore del proprio bene, della patria che ciascuno è per se stesso, si inaugura la lotta contro quel che sembra non appartenerci e persino danneggiarci. Il meglio di noi collabora alla strategia, mette in atto un’astuta, raffinata e violenta azione di guerra, anche se qualcosa non quadra, se i conti non tornano del tutto”.
‘Vincitori e vinti’, film del 1961. Il discorso di Ernst Janning, alla fine del processo che si concluderà con la condanna di quattro giudici al servizio della dittatura nazista tenta, senza cercare attenuanti e giustificazione, di spiegare perché sia potuto accadere qualcosa di tanto terribile sotto lo sguardo di persone normali, colte, perbene. Proviamo a leggere la sua deposizione come se l’oggetto del discorso fosse il nostro ‘io’, la nostra soggettività, attraverso la metafora della vicenda di un popolo.
“C’era come una febbre in tutto il Paese, una febbre di vergogna, di indegnità, di fame. Eravamo una democrazia, sì, ma lacerata da conflitti interni”. Non è questa la condizione in cui si trova ciascuno di noi, se proviamo a immaginarci come una collettività fatta di molte voci, come uno Stato libero in cui ogni parte lotta duramente per sopravvivere e trovare senso, spazio e legittimazione giorno dopo giorno?
“Soprattutto c’era la paura, paura del presente, paura del domani, paura dei nostri vicini di casa, e paura di noi stessi”. Cominciamo a sentire che tutto quel che ci costituisce ci minaccia, che la diversità di cui siamo composti è un pericolo per la nostra stabilità, e che invece di contribuire al nostro benessere ci sottopone quotidianamente a mille provocazioni, dibattiti, contraddizioni che ci dilaniano e ci tolgono energia.
“Solo quando comprenderete questo comprenderete quello che Hitler significava per noi”. In questo clima di assoluto spavento e incertezza smettiamo di ragionare e cerchiamo una via d’uscita, un punto di fuga: qualcuno che venga a sollevarci da tanto orrore e tristezza, qualcuno che sappia individuare un colpevole ‘dentro di noi’ e ci aiuti ad eliminarlo, per tornare ad essere identici, uguali a noi stessi cioè, riconoscibili ai nostri occhi e a quelli altrui.
“Perché egli ci disse ‘Sollevate la testa! Siate fieri d’essere tedeschi! Ci sono dei demoni tra di noi: comunisti, liberali, ebrei, zingari! Una volta che questi demoni saranno distrutti la vostra sofferenza sarà distrutta!’. Era la vecchia, vecchia storia, dell’agnello sacrificale”. Ecco che quella voce tirannica si leva e si mette in luce, mentre tutte le altre sono ammutolite e oscurate dalla paura e dallo sconforto.
Quella voce che si sente più forte perché riesce a parlare a voce più alta e chiaramente, ci incoraggia a combattere contro noi stessi, contro le minoranze che ci abitano e che ormai abbiamo marchiato come nemiche. Non siamo ‘noi’ i responsabili della nostra vita, della nostra felicità, della nostra condizione qualunque sia: sono ‘loro’.
“Ma dov’erano quelli di noi che capivano meglio, che capivano che quelle parole erano menzogne, e peggio che menzogne? Perché restammo in silenzio? Perché collaborammo? Perché amavamo la nostra patria”. Sempre in nome dell’amore del proprio bene, della patria che ciascuno è per se stesso, si inaugura la lotta contro quel che sembra non appartenerci e persino danneggiarci. Il meglio di noi collabora alla strategia, mette in atto un’astuta, raffinata e violenta azione di guerra, anche se qualcosa non quadra, se i conti non tornano del tutto.
Ma la forza del liberatore e il suo carisma trovano in ciascun membro della nostra comunità un complice, sono una fonte di speranza e di riscatto: anche per chi potrebbe opporglisi avendone le capacità e infine fermarlo, prima che ci distrugga (quelle parti migliori aspettano da tempo il loro momento di gloria, dopo tante frustrazioni).
“Che differenza fa se alcuni estremisti politici perdono i diritti civili? Che differenza fa se alcune minoranze etniche perdono i diritti civili?”. Quando le voci più diverse ci disturbano e – almeno sembra - ci impediscono di crescere con leggerezza e velocità, allora toglierle di mezzo non sarà un problema. Li abbiamo additati e isolati come parassiti, piccoli e però ostinati e insaziabili nella loro ricerca di nutrimento al nostro interno.
“E’ solo una fase passeggera, solo una tendenza momentanea che verrà messa da parte prima o poi. Hitler stesso verrà messo da parte, prima o poi…”. Anche la voce tirannica – pensiamo - è un male ma un male necessario, e smetteremo di ascoltarla appena potremo tornare alla normalità. Potremo dimenticare i sacrifici e le stragi che abbiamo perpetrato amputando parti della nostra anima, e finalmente tornare a un’esistenza più ‘autentica’, invincibile, coerente: torneremo ‘innocenti’.
“Poi un giorno ci guardammo intorno… Quel che doveva essere una fase passeggera era divenuto un sistema di vita”. Quanto maggiore sgomento segue a quello sterminio che abbiamo lasciato compiersi sotto i nostri occhi, quanta angoscia, quanta solitudine segue la scelta di escludere lo straniero che ospitavamo, e avrebbe potuto essere il nostro più prezioso alleato? Chi ha vinto davvero, e che cosa?
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