di
Dario Lo Scalzo
05-06-2012
È enorme l’impatto della produzione di biocarburanti sulle popolazioni locali del sud del mondo le quali si vedono strappate le loro terre e con queste il diritto al cibo e alla possibilità di autodeterminarsi. Ecco perché l'associazione ActionAid si fa promotrice di una petizione al Governo italiano per dire 'STOP ai biocarburanti'.
Dal 2009 l’Unione Europea sta portando avanti una politica in materia energetica nel tentativo di rispondere efficacemente al cambiamento climatico. Del pacchetto normativo ideato fa parte la direttiva sulle energie rinnovabili, Renewable Energy Directive (RED) che stabilisce che il 20% dell’energia consumata nel 2020 debba provenire da fonti rinnovabili e fissa l’obiettivo vincolante del 10% di consumo di biocarburanti nel settore dei trasporti.
I singoli paesi membri si sono così immediatamente attivati attraverso dei piani di azione nazionali con i quali si impegnano ad incrementare la produzione di biocarburanti di prima generazione considerati come una delle soluzioni vincenti per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. I biocarburanti vengono realizzati da prodotti come il frumento, il grano, lo zucchero di canna, l’olio di semi, in breve da vegetali destinati a finire nelle nostre automobili.
Ma i paesi dell’Unione Europea non hanno terre a sufficienza per coltivare le materie agricole necessarie al raggiungimento degli obiettivi quantitativi stabiliti dal RED. Per tale ragione si è innescato una sfrenata corsa al biocarburante e di conseguenza una corsa all’accaparramento delle terre - land grabbing - essenzialmente nei paesi del sud del mondo.
Questa strategia di sostegno e utilizzo di biocombustibili disegnata dall’UE e che, del resto, è perseguita anche da altri paesi come Cina, Stati Uniti e Brasile visibilmente non tiene però conto delle gravi conseguenze e dell’incidenza che determina per le popolazioni locali che si vedono strappare, a volte è meglio dire rubare, i propri territori e con essi il diritto al cibo e alla possibilità di autodeterminarsi.
Dalle decisioni prevaricatrici, sopraffattrici e tornacontiste dell’UE e degli altri paesi condottieri del pianeta, dagli obiettivi obbligatori e dal sostegno finanziario, tramite incentivazione, che viene assicurato alle imprese del settore si arriva ad una vera e propria violazione dei diritti umani degli indigeni.
L’impatto sulle popolazioni locali di Africa, Asia e Sudamerica è enorme specialmente dal punto di vista dell’accesso al cibo, alla terra e alle risorse idriche. Inoltre la domanda dei prodotti agricoli utilizzabili per biocarburanti è in forte aumento e ciò ha comportato un corrispondente incremento dei prezzi di tali prodotti alimentari e la loro volatilità penalizzando ulteriormente chi vive di sussistenza e chi soffre la fame.
In tali scenari, ferma restando l’opinabilità sulla reale riduzione dell’inquinamento atmosferico ricorrendo ai biocarburanti di prima generazione, assumono notevole rilevanza inoltre gli effetti e gli impatti disastrosi che tali strategie hanno e continueranno ad avere sull’ambiente e sulla biodiversità dei territori sottratti alle popolazioni locali.
Da tempo molto sensibile a tali tematiche e sempre prossima alle popolazioni locali, l’associazione ActionAid, nell’ambito della sua campagna Operazione Fame, si fa promotrice di una petizione al Governo italiano per dire STOP ai biocarburanti.
Grazie alla sua presenza in molti paesi del mondo e attraverso delle strategie di stretta interazione con il tessuto locale, l’Associazione, nell’ambito del land grabbing attribuibile alle politiche dei biocarburanti, è stata già attiva co-protagonista di casi di successo che hanno permesso concretamente di bloccare a monte progetti di deforestazione.
È il caso recente del Kenya in cui alcune comunità locali, sensibilizzate e sostenute dal lavoro di ActionAid e da una mobilitazione internazionale, hanno ottenuto la sospensione da parte delle istituzioni keniote di un progetto capeggiato da un’impresa italiana che cercava di affittare circa 50.000 ettari di terreni all’interno di una foresta con potenziali ed irreparabili danni alle persone oltre che alla biodiversità animale e vegetale.
Si è troppo spesso di fronte a delle insensatezze e a delle contraddizioni derivanti dal perseguimento di interessi privati e sulle quali corre il dovere di vigilare e di apportare delle azioni correttrici. È il caso dell’UE che per un verso sostiene e supporta gli Obiettivi del Millennio con cui si prefigge di ridurre la fame e la povertà mentre dall’altro, promuovendo delle politiche poco sostenibili come quella dei biocarburanti e indirettamente, innescando il fenomeno del land grabbing, si fa complice del loro incremento.
L’attivismo, l’impegno, la sensibilizzazione e il coinvolgimento delle parti sociali dimostrano che si può sovvertire il trend che a senso unico privilegia il bene di pochi a scapito di quello della collettività. Azioni, esempi concreti e casi di successo che poco vengono veicolati, e che invece assurgono al ruolo di 'apripista' del cambiamento, spingono e stimolano a perseverare nonostante le evidenti incongruenze di cui sono di frequente artefici i governanti e le istituzioni.
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