Dal naufragio della Costa Concordia alle conseguenze del maltempo. Ogni qualvolta ci si trova dinanzi ad una tragedia le responsabilità vengono in un primo momento attribuite ad una sola persona. Passata la bufera, però, un numero crescente di persone risulta coinvolto in quello che inizialmente sembrava un lampante reato del singolo.
“Questo noi uomini abbiamo imparato, questo insegna l’esperienza, che, quando c’è un ammutinamento su una nave o in un esercito, i colpevoli sono allora così tanti che si sorvola sulla punizione”
(S. Kierkegaard, La malattia mortale)
Anche i fatti di questi giorni, dall’affondamento della Costa Concordia alle drammatiche conseguenze del maltempo, mettono in rilievo che nel nostro Paese le responsabilità sono difficili – quando non impossibili - da individuare. Nello scompiglio e nel dolore immediato, in cui chi può corre ai ripari, chi non può subisce senza scampo, sembra emergere in modo rapido e chiaro il colpevole, gli si dà un nome e un volto.
Ma appena passata la bufera, e appena gli animi si quietano nella prospettiva che qualcuno pagherà per i propri errori, allora i contorni della vicenda diventano meno definiti. Alla denuncia risponde una controdenuncia, all’accusa un attacco ancora più grave, più ampio, finché un numero crescente di persone risulta coinvolto in quello che pareva un lampante reato del singolo.
Continua Kierkegaard: “Giudicare la gente come bestiame non si può, perché non si può giudicare il bestiame… quando giudicare deve avere serietà e verità, si giudica ciascun singolo”. L’essere ‘singolo’ mette l’uomo in una condizione di estrema unicità rispetto al resto dell’esistente. Egli può stare di fronte a Dio (se si crede), o alla propria coscienza, in virtù di tale condizione. Ed è lo stare di fronte a questo Altro (o altro), che ci rende giudicabili, colpevoli, perdonabili. Responsabili.
Ma gli uomini, che non vogliono rispondere dell’azione compiuta quando non gli porta in vantaggio qualche premio o promozione, o nel caso più nobile una maggiore stima di sé, preferisce fare massa, mettersi insieme, confondere le acque. Nella ‘caciara’ si perde tempo e pazienza, si dismettono le regole e la fiducia che ci governino. Persino chi conduce una ‘manovra economica’ barbarica, vuole essere in molti, farsi sostenere dal consenso di altri numerosi compagni, chiamare in rinforzo gente oltre confine: per non essere soli, singolarmente chiamati, a rispondere di quel che è avvenuto e non doveva. E quindi poteva non essere avvenuto.
Come si fa a giudicarli in massa? Eppure non ci si può mischiare alla folla per sempre. Eternamente, invece, si sta con se stessi senza via di scampo, tranne la pazzia. Dunque, per questi maldestri affondatori del vivere comune resta l’incontro con il sé, nella propria solitudine, sottoposti al giudizio più imparziale, e forse più impietoso.
“La coscienza è così predisposta che a ogni colpa segue subito un verbale, ed è lo stesso colpevole a doverlo scrivere. Ma viene scritto con inchiostro simpatico, e perciò diventa leggibile solo quando nell’eternità viene messo controluce”. Stiamo attenti anche noi a non rifugiarci nel pensiero confortante di avere ragione perché siamo in molti a protestare. Non è vero che la volontà del popolo è volontà di Dio. Essere in molti non basta a guadagnarsi la salvezza. Ci sono processi che non vanno in prescrizione.
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