Studenti No Green Pass: «Assoluta contrarietà all'obbligo vaccinale»

«Gli Studenti contro il Green Pass si dichiarano fortemente contrari non soltanto al certificato verde (in ogni sua forma), ma anche all’obbligo vaccinale (difatti crediamo che l’imposizione compiuta nei confronti di varie categorie di lavoratori – quali medici, infermieri, operatori delle RSA, docenti e membri delle forze dell’ordine – sia sicuramente illegittima, e in quanto tale va disattesa)»: questo l'esordio della nota diffusa dal movimento degli studenti che si battono contro le restrizioni e le imposizioni del governo.

Studenti No Green Pass: «Assoluta contrarietà all'obbligo vaccinale»

«Gli Studenti contro il Green Pass si dichiarano fortemente contrari non soltanto al certificato verde (in ogni sua forma), ma anche all’obbligo vaccinale (difatti crediamo che l’imposizione compiuta nei confronti di varie categorie di lavoratori – quali medici, infermieri, operatori delle RSA, docenti e membri delle forze dell’ordine – sia sicuramente illegittima, e in quanto tale va disattesa)»: questo l'esordio della nota diffusa dal movimento degli studenti che si battono contro le restrizioni e le imposizioni del governo.

«A nostro parere non avrebbe alcun senso osteggiare uno strumento altamente discriminatorio per poi sostenere la bontà di una coercizione ancora più netta - prosegue la lunga nota degli studenti - Volendo dirlo altrimenti: non comprendiamo chi si dichiari ostile a un “obbligo surrettizio” mentre si dica ben disposto ad accogliere l’obbligo vero e proprio. Da un punto di vista sostanziale la coercizione resta tale in ambedue le soluzioni, sicché ambedue risultano palesemente irricevibili. Del resto, ai fini della nostra valutazione non risulta determinante la possibilità che lo Stato risarcisca le vittime di eventuali effetti avversi post-vaccinazione, e non già perché sottovalutiamo l’importanza di questo rimedio giuridico, bensì perché con la promessa di risarcimento e con il risarcimento in sé, evidentemente, non si affronta il cuore del problema: vi si gira attorno».

«Posto che quanto è accaduto in tema di consenso informato ha già costituito una “anomalia nella anomalia”, avendo accompagnato a una costrizione più o meno diretta l’esonero di ogni responsabilità per coloro i quali hanno promosso e compiuto tale sopruso, è bene concentrarsi sul danno profondo che si è arrecato alla popolazione e alla sua cultura giuridica, scientifica e umanistica. Il nostro movimento studentesco ha sempre avuto ben chiara l’importanza di proteggere la sfera individuale e il complesso dei diritti umani di ogni individuo; anche e soprattutto quando il potere esecutivo cerchi, per un lato, di ripararsi dietro lo scudo dello “stato di emergenza” (che è illegittimo al punto da apparire oramai un evidente stato di eccezione), e per l’altro lato, di ottenere e conservare il consenso grazie alla sua propaganda».

«Non a caso, una delle mistificazioni più subdole che le istituzioni, a partire dalla più alta carica dello Stato, hanno compiuto nel corso degli ultimi mesi, è insita nell’argomentazione seguente: esisterebbe un presunto bene pubblico-collettivo (un “super valore” tra i valori costituzionali), dotato di una altrettanto presunta – nonché indiscutibile – superiorità, cui tutti i diritti afferibili al singolo, per un nuovamente presunto dovere di stampo etico, debbono inevitabilmente cedere il passo; e tutto ciò, si osservi, sol perché così è stato stabilito da certi organi oscuri, organi niente affatto previsti dalla nostra Costituzione (ci riferiamo, ovviamente, al CTS e alla “cabina di regia”), organi che agiscono: a) in totale mancanza di trasparenza, ovvero senza condividere pubblicamente i criteri scientifici e giuridici posti a fondamento delle loro decisioni; b) senza curarsi del problema, tutt’altro che secondario, della presenza al loro interno di individui con profondi conflitti di interesse. Allora, poniamo dei punti fermi: noi studenti siamo consapevoli di quanto sia delicato il tema della “salute pubblica”, ovvero di quanto sia vasta la letteratura giuridico-filosofica che tratta l’argomento. Nel tentativo di approcciare la questione nel modo più serio, anche questa volta prendiamo ispirazione – come da nostra buona abitudine – dal dettato costituzionale. Ebbene, a beneficio di tutti si ricorda qui che nell’articolo 32 della Costituzione, con riferimento alla salute umana, si parla opportunamente di vero e proprio “diritto” – per il singolo – e di mero “interesse” – per la collettività, con ciò lasciando intendere quanto consci fossero i nostri padri costituenti circa il pericolo di una ingiusta prevalenza del gruppo (è il caso della democrazia che degenera in “dittatura della maggioranza”)».

«Inoltre, il disposto si chiude con il necessario richiamo al rispetto della persona umana, ponendo limiti che il legislatore non potrà mai – proprio mai – superare, figurarsi con farmaci ancora in fase di sperimentazione somministrati in violazione del Codice di Norimberga - proseguono gli stydenti - La Consulta è più volte intervenuta sul punto, specificando che la legittimità costituzionale di ogni eventuale obbligo in materia di trattamenti terapeutici può darsi soltanto in assenza di rischi per il singolo – al quale non può essere imposto di sacrificare la propria salute "a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri" -, ovvero se e solo se al beneficio certo per l’individuo si accompagni un beneficio altrettanto certo “per la collettività”. Nel caso dei cosiddetti “vaccini anti-Covid” (che il legislatore, peraltro, si ostina a definire “vaccini anti Sars-Cov-2”, così reiterando il reato di falso in atto pubblico), l’una e l’altra condizione testé richiamate sono smentite dalle risultanze scientifiche ottenute in questi ultimi mesi, le quali testimoniano, per un lato, la presenza del rischio per l’individuo, e per l’altro lato, l’inidoneità del farmaco ad arrestare in modo longevo la catena dei contagi (a tal proposito specifichiamo che l’efficacia del prodotto di Pfizer è già scesa ben al di sotto dei requisiti che la FDA aveva stabilito per la sua commercializzazione). Stando così le cose, e tenuto pur conto dell’impossibilità di definire con affidabile certezza, per le varie fasce di età, i reali caratteri del famigerato rapporto tra rischi e benefici (la variante Omicron, rivelatasi nettamente meno aggressiva rispetto ad altre passate, non ci consente di avanzare ottimistiche attribuzioni di merito ai “vaccini anti-Covid”), il solo immaginare di dibattere di un obbligo diviene, sotto il profilo strettamente giuridico-costituzionale, d’un sol colpo velleitario. Se a tali considerazioni si aggiunge che ha poco o nessun senso proporsi di “inseguire” un fascio di virus RNA a catena singola per loro natura estremamente mutevoli (del concetto di “pressione selettiva” si è più volte parlato negli ambienti scientifici più autorevoli, vale a dire tra gli esperti ignorati dalle istituzioni), allora parlare di obbligo non rappresenta solo un gesto velleitario, ma anche una brutale perdita di tempo».

«Facendo nostra la lezione gentilmente offertaci dall’Assemblea Costituente, e non osservando di buon occhio l’ipotesi di lasciarci istupidire dalle banalità e dalle ipocrisie del dibattito odierno, ci rifiutiamo categoricamente di immaginare una Repubblica democratica nella quale “salute individuale” e “salute collettiva” collidano (con la seconda a sovrastare ineludibilmente la prima, per l’appunto); al contrario, pensiamo fermamente, ben al di là di ogni stortura etica, e ben al di qua di ogni tentazione utilitaristica, che la salute pubblica non sia altro che la somma del benessere di ciascuno di noi. Qui non si tratta soltanto di rimarcare la necessità di procedere con estrema cautela ogniqualvolta si ha a che fare con il bilanciamento di valori costituzionali che, per loro natura, abbisognano di conoscenze scientifiche solidissime e richiedono che siano pienamente rispettati i principi di ragionevolezza e di proporzionalità; qui si tratta anche e soprattutto di difendere la dignità di ogni essere umano dal potere prevaricatorio di uno Stato-Leviatano che, agendo in forza di un pretesto anti-etico (infondato sul piano scientifico, nonché ingiustificato sul piano giuridico), modifica a suo piacimento i rapporti tra sé stesso e la cittadinanza, tramutando i diritti e le libertà costituzionali in concessioni amministrative: il che comporta, di fatto, la rottura del patto sociale posto a fondamento dell’ordinamento e della nostra stessa società. Lo si ricordi sempre: non siamo noi, come cittadini, a esistere in funzione dello Stato; viceversa, è lo Stato a esistere per servirci. Non occorre aver letto la teoria della giustizia sociale di John Rawls, o risalire a Montesquieu, Locke e Rousseau; basterà soffermarsi su questo semplice assunto: i cittadini di uno Stato democratico ne sono i sovrani, giacché hanno stretto un patto solenne per mezzo del quale hanno accettato di sottostare a delle leggi comuni che fossero giuste».

«Come avanguardia dei movimenti contrari al Green Pass sentiamo la responsabilità di rimarcare questi concetti perché tutta la cittadinanza accresca le proprie consapevolezze. Ecco che, dunque, il problema dell’obbligo, al pari di ogni altra grande questione giuridica e sociale, si ritrova a coincidere con la domanda su che cosa sia (socialmente) giusto. Potremmo compiere lunghi ragionamenti nel tentativo di elaborare una risposta degna di questo interrogativo, eppure crediamo vi sia un aspetto preliminare, a monte, che vada analizzato prima ancora di porsi il quesito sull’obbligo vaccinale: è il problema di una società giusta, di una democrazia che sia all’altezza di sé stessa. Prima di chiedersi se un dato provvedimento sia giusto o meno, occorre chiedersi anzitutto se la società in cui si sta vivendo sia essa stessa “giusta”, ovvero se non possa essere di gran lunga migliore di quella che è, divenendo degna dell’appellativo “democratica”. Quello che stiamo cercando di dire è che è il senso stesso della democrazia a indicarci una via; il che significa che sarà sempre nostro dovere, innanzi ad ogni problema complesso, favorire l’essere umano anziché ostacolarlo; preferire la collaborazione alla competizione; preoccuparci che lo Stato sia al servizio – e non già al comando – dei suoi cittadini; diminuire le logiche di possesso e controllo; fare in modo che il potere sia massimamente diffuso e che le informazioni siano massimamente distribuite; limitare allo stretto necessario l’utilizzo del potere amministrativo; garantire il rispetto della sovranità di ciascuno sul suo corpo; battersi affinché vengano bandite dall’ordinamento le presunzioni legali di colpevolezza o di pericolosità sociale; osteggiare sacrifici inutili; impedire l’applicazione di strategie para-militari sui civili; e così via».

«Questi criteri sono validi per ogni tematica, e iniziano a suggerire una risposta anche per ciò che riguarda l’obbligo. Si potrebbe parlarne veramente a lungo, ma l’onestà intellettuale ci impone di essere più diretti: per opporci all’obbligo disponiamo di molte valide ragioni di ordine scientifico, etico e giuridico; tuttavia, dovremo pur dire che all’attuale governo non importa alcunché di esaminare tali ragioni, perché ad esso non importa alcunché né della scienza, né dell’etica, né del diritto (basti pensare all’imbarazzante silenzio con cui i vari consulenti tecnici rifuggono qualunque richiesta di confronto; basti pensare al fatto che un governo che abbia veramente a cuore la “salute pubblica” non sanzionerebbe i suoi medici, e non scialacquerebbe i denari dei contribuenti in folli progetti, lasciando al Sistema Sanitario Nazionale soltanto le briciole). La verità è più semplice, ed è finanche drammatica nella sua banalità: siamo nel bel mezzo di un progetto politico disumanizzante volto a scongiurare il ritorno allo stile di vita pre-pandemico (si noti quante volte è stato detto e ripetuto che «niente sarà più come prima»). In uno status quo che vede gravemente compromessi i principi dell’habeas corpus e dell’habeas mentem, con un parlamento in perenne eclissi del governo e con un governo che non sa fare altro che distruggere il tessuto economico e l’armonia giuridica e sociale di questo Paese, ci sembra – ci sia consentito di dirlo – che il solo parlare di “obblighi” (di qualunque tipo) sia oltremodo stucchevole, cioè disgustoso. Non solo perché, in Europa, i due grandi alfieri della nuova “caccia alle streghe” contro i cittadini non vaccinati – per l’Italia Mario Draghi, l’uomo di Goldman Sachs; per la Francia Emmanuel Macron, il pupillo dei Rothschild – siano due personaggi a dir poco mediocri, imparagonabili ai politici e agli intellettuali dei bei tempi che furono; ma anche e soprattutto perché, in Italia, sono stati i politici, i magistrati, i giornalisti e i sindacalisti di tutto il Paese a venir meno ai loro “doveri”, ai loro “obblighi”. Dunque non vengano adesso a richiedere a noi di rispettare un nuovo “obbligo” sol perché essi sono troppo orgogliosi, e troppo poveri di onestà intellettuale, per riconoscere di aver causato il disastro sociale peggiore dai tempi del Secondo Dopo Guerra. In fin dei conti, non abbiamo bisogno neppure di argomentare contro l’obbligo vaccinale, stante il fatto che il governo non ha la benché minima autorevolezza per imporlo. Dibattere di filosofia e di diritto può essere estremamente stimolante, ma non si perda di vista la realtà degli eventi: uno sparuto gruppo di individui affetti da deliri di onnipotenza ha preso in ostaggio il parlamento più ridicolo della storia della Repubblica, ha spaccato la società italiana, ha creato divisioni strumentali e ha fomentato l’odio, ha compresso arbitrariamente diritti e libertà, ha censurato l’informazione, ha messo in difficoltà le strutture sanitarie, le piccole e medie imprese e le famiglie di questo Paese, ha usato tecniche militari contro i civili, ha ricattato milioni di persone incensurate con i metodi tipici di una associazione per delinquere di stampo mafioso, ha compiuto dei veri e propri crimini contro l’umanità e vorrebbe compierne di altri, mentre ci avvicina al sistema di credito sociale cinese cercando di attrarre quanta più gente possibile entro il perimetro dorato del neo-regime delle “libertà autorizzate” regolato mediante il certificato verde. Il nostro è lo scenario in cui colui che adempie al comando dell’autorità – la recluta – “accetta” di essere costantemente controllato poiché viene apparentemente premiato (in verità, gli si restituisce assai precariamente ciò che gli apparteneva di già), mentre colui che disobbedisce – il ribelle – viene di continuo vilipeso, perseguitato, ricattato e segregato.In tutto ciò volete dunque domandarci cosa ne pensiamo dell’obbligo? Francamente, ci auguriamo che la sola parola “obbligo” provochi un moto di repulsione in ciascuno di noi, suscitando un immediato “no grazie”. In ogni caso, che sia messo agli atti: non obbediremo a niente».

 

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