di
Claudia Bruno
11-02-2011
Personalmente, avrei preferito che la manifestazione in programma per il 13 fosse chiamata con il suo vero nome e quindi la (ennesima) mobilitazione del popolo viola per mandare a casa il signor B. Invece, sempre secondo la mia personalissima opinione, i partiti hanno preferito appendersi alla grande gonna dell’indignazione femminile, una gonna cucita su misura per l’occasione, però, e fatta di stoffe recuperate nello scatolone del comune sentire.
Personalmente, avrei preferito che la manifestazione in programma per il 13 fosse chiamata con il suo vero nome e quindi la (ennesima) mobilitazione del popolo viola per mandare a casa il signor B. Invece, sempre secondo la mia personalissima opinione, i partiti hanno preferito appendersi alla grande gonna dell’indignazione femminile, una gonna comoda e cucita su misura per l’occasione, però, fatta di stoffe recuperate nello scatolone del comune sentire: non solo il perbenismo moralista ex-democristiano ma anche l’esasperazione creata dai media sull'onda della voglia di cambiamento diffusa. Sempre dietro alla gonna ci saranno i banchetti per la raccolta firme per le dimissioni del signor B. che fanno il paio con il nome scelto per la giornata ‘Se non ora quando?’. Una strumentalizzazione insomma nemmeno troppo velata da parte di chi si è reso conto di non avere più mezzi politici a disposizione per riconquistare terreno e credibilità.
E allora, mandiamo avanti le donne. D’altra parte quando, se non ora che impazza il bunga-gossip? È marketing puro.
La logica mi compare semplice: sul web e dappertutto parte il messaggio virale che “è arrivato il momento per le donne di riprendersi la dignità”. Questa dignità, non si capisce bene come sia successo, ci sarebbe stata rubata o sottratta sotto il naso. Forse non ce ne siamo accorte perché eravamo troppo impegnate a fare mille lavori per avere un reddito intero e garantire un minimo di cura alle case, agli affetti, alle relazioni, al mondo. Ma comunque. Da qualche settimana abbiamo appreso quanto segue: ci hanno tolto la dignità e dobbiamo andarcela a riprendere. Domenica in piazza, per la precisione.
Ho molto apprezzato l’intervento di Ivana Pintadu (Collettiva Femminista Sassari) che in una lettera firmata il 5 febbraio domandava: “ma non siete stanche di apparecchiargli la tavola?” riferendosi al fatto che la partecipazione massiva delle donne a questa manifestazione non avrebbe fatto che risolvere il problema del numero agli organizzatori, uomini di partito che per il resto dell'anno se ne sbattono altamente di corpi e sessualità femminili.
Di interventi però ce ne sono stati molti, e soprattutto diversi (ne riporto alcuni tra i link esterni qui al lato), sia pubblicati su giornali e blog, sia scambiati tra amiche in posta privata e sui social network, oltre che dal vivo.
E alla fine è successa la cosa più bella che poteva succedere. La risposta a una chiamata assai riduttiva si è tirata fuori dal 'previsto'. Il dibattito non si è ripiegato sul nodo scendere/non scendere in piazza, donne perbene contro donne permale, attiviste contro snob, ma è stato molto più pieno e ha reso irrealizzabile l’essere l’una contro l’altra. Pur nelle nostre differenti visioni della realtà è come se ci fossimo trovate d'accordo, e in qualche modo vicine.
Domenica, ognuna agirà in base al proprio desiderio e senza delegare ad altri. Ci saranno donne che scenderanno in piazza per portare un pensiero diverso, e donne che rinunceranno alla tentazione di manifestare con le altre per non dare la soddisfazione ai partiti di risolvere i problemi dettati dalle loro agende. Ci saranno donne che non rinunceranno ad esserci nel mondo nonostante tutto, e altre che preferiranno essere altrove e altrimenti come dice bene Luisa Muraro in un articolo comparso ieri sul Corriere.
La ‘sorpresa’ è stata che una consapevolezza comune partita dal sentire di ognuna è affiorata in superficie, se non altro come forma di resistenza a quel pensiero unico che continua imperterrito a pretendere un addomesticamento di vita e di pensiero.
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