Per imporre l'apertura dei cantieri della Torino-Lione, è stata ventilata anche la militarizzazione della Val di Susa. Il tentativo è quello di far ricadere sugli abitanti della valle e sulla loro presunta violenza una tale decisione. La criminalizzazione del dissenso continua a caratterizzare la politica di chi vuole portare avanti il progetto Tav.
Tav a mano armata: per imporre la Torino-Lione è stato ventilato anche l’impegno dell’esercito, dovendo militarizzare la valle di Susa. E senza mai spendere una parola per dimostrare – conti alla mano – che la nuova linea ferroviaria servirebbe davvero a qualcosa, oltre che a regalare euro-miliardi alla lobby del cemento.
Eppure la 'colpa' viene fatta ricadere sugli abitanti della valle di Susa, dei quali viene evocata la 'violenza', quando invece sono stati proprio loro, finora, a finire all’ospedale, colpiti dai manganelli. E restano tuttora senza colpevoli i 12 attentati incendiari e dinamitardi che alla fine degli anni ’90 scossero la valle, provocando l’arresto dei giovani anarchici Edoardo Massari e Soledad Rosas, morti in stato di detenzione prima ancora che venisse provata – come poi avvenne – la loro estraneità rispetto a quella tenebrosa pagina di strategia della tensione.
Oggi siamo alle intimidazioni anonime: buste con proiettili recapitate a parlamentari del Pd. Il partito di Bersani e Fassino, anticipando qualsiasi indagine, si affretta a gettare la croce sui valsusini: come fossero loro, i 'ribelli della montagna', a passare davvero il tempo a raccogliere pallottole, imbustarle e spedirle ai palazzi torinesi. Sembra ripetersi un copione grottesco, già in passato rivelatosi tragico.
I No-Tav, simbolicamente asserragliati a Chiomonte dove occupano fisicamente l’area prescelta per l’apertura del cantiere, lottano da vent’anni con mezzi pacifici per quella che interpretano come la legittima difesa della loro valle: pretendono che lo Stato, che impone uno smisurato sacrificio per la inevitabile devastazione di quel territorio, si scomodi almeno per dare spiegazioni. Tutto inutile: la Torino-Lione si deve fare e basta, perché serve “allo sviluppo del Piemonte”. Rapporto costi-benefici? Silenzio assoluto. La maggiore opera pubblica italiana, 20 miliardi di euro, nascerebbe senza una stima ufficiale degli eventuali vantaggi.
“Il governo e le potenti lobby che governano l’economia e la finanza, con l’appoggio di partiti di maggioranza e minoranza, non hanno esitato a stravolgere procedure, infrangere leggi e ingannare l’Unione Europea pur di assicurarsi un grande business da cui anche la grande criminalità organizzata e le mafie contano di trarre profitto”, scrivono ora i No-Tav nel loro ultimo appello, dopo quelli rivolti ad Amnesty International e alle stesse forze dell’ordine, invitandole a non prestarsi alla violenza di chi vorrebbe ricorrere a tutti i costi all’uso della forza per mettere a tacere la resistenza civile della valle di Susa.
“Hanno scatenato una grande campagna mediatica per nascondere le dimensioni e le ragioni dell’opposizione, per screditare il movimento No-Tav presentandolo come covo di estremisti e sovversivi: la criminalizzazione del dissenso è un’arma micidiale a cui ricorre solo chi disprezza il confronto democratico e le regole condivise”.
Di ora in ora, ormai, la cronaca propone sviluppi inquietanti: il ministero della difesa che offre truppe da dispiegare sul terreno per rendere inviolabile il sito dell’eventuale cantiere proteggendolo come zona militare, poi il ministero dell’interno che assicura che basteranno normali reparti antisommossa, dopo che lo stesso questore di Torino, alla festa della polizia, aveva chiesto ancora una volta alla politica, inutilmente, di trovare una soluzione ragionevole e condivisa proprio per evitare il confronto sul campo e quindi lo sgombero forzato con l’uso della forza.
Altrettanto inutilmente, i No-Tav denunciano la campagna di intimidazione in corso e prendono le distanze, sdegnati, da qualsiasi azione violenta: dagli incendi dolosi dei loro 'presidi' dati alle fiamme fino alle ultime buste con pallottole, tutti gesti “di natura mafiosa”, estranei al carattere popolare dell’opposizione alla Tav, che può arrivare all’intifada simbolica come avvenne nel 2005, con l’invasione in massa di strade e ferrovie, da parte di decine di migliaia di persone.
“No-Tav, no mafia”, è uno degli slogan della lotta valsusina, a lungo bersagliato dai principali politici come inaccettabile scorciatoia demagogica. Peccato che proprio la valle di Susa detenga il record storico del primo Consiglio comunale disciolto per mafia a nord del Po: Bardonecchia. C’è poco da ridere, avverte lo scrittore Massimo Carlotto: alla nuova mafia le grandi opere fanno gola, perché sono perfette per riciclare denaro sporco a spese dello Stato.
Il 7 giugno, i carabinieri e la Procura di Torino hanno messo a segno la più spettacolare operazione antimafia mai condotta in Piemonte, mettendo a fuoco relazioni pericolose fra ‘ndrangheta e politica. Tanto che il ministro Maroni ora torna a promettere “massima vigilanza” sulle eventuali procedure per i cantieri della Torino-Lione: anche il problema mafia fa quindi il suo ingresso ufficiale nella storia infinita della Tav valsusina, dopo l’impatto ambientale, i timori per la salute, il disastro socio-economico, il rischio idrogeologico nel caso il territorio restasse senz’acqua come il Mugello e le ipotetiche opere di compensazione, che la valle continua a rifiutare.
“Non difendiamo solo la nostra terra – ripetono i valsusini – perché la nostra è una battaglia democratica per l’Italia: tutto il paese si troverebbe a pagare un prezzo finanziario abnorme, ingiustificabile, per un’opera assolutamente inutile”.
Nato nel 1990 per l’Europa di allora, il progetto Torino-Lione doveva servire a trasportare passeggeri. Poi, vista l’inesistenza della domanda di traffico, lo si è convertito pensando alle merci: ma l’attuale linea internazionale valsusina, la Torino-Modane, è ormai semi-deserta. L’asse strategico del trasporto è cambiato, ora corre fra Genova e Rotterdam. Persino il trasporto su gomma, lungo l’autostrada del Fréjus, da dieci anni è in calo costante. Tutte ragioni validissime per ripensare la rete dei trasporti, eppure sistematicamente ignorate: solo per non perdere la maxi-torta degli appalti, come dicono i No-Tav?
L’Italia, beata lei, il 12-13 giugno potrà votare i referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento, nonostante lo scandaloso silenzio-stampa che ha oscurato per mesi la scommessa referendaria. Missione, restituire la parola al popolo: democrazia dal basso, contro lo strapotere abusivo delle caste. Ma per la Torino-Lione, niente da fare: non c’è volontà popolare che tenga.
Rispetto al grande problema che li assilla, gli abitanti della valle di Susa sembrano avere le stesse chance democratiche di quelli della Corea del Nord. Assordante il silenzio della politica, ridotta a balbettare slogan rifiutandosi di dare spiegazioni a persone che, semplicemente, si battono con straordinaria tenacia per affermare il diritto elementare alla loro sovranità civica di cittadini italiani. Parole al vento, rabbia? Niente paura: in fondo, si sa, la colpa è tutta dell’antipolitica.
Tratto da Libreidee.org
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