di
Giorgio Cattaneo
03-12-2012
“Queste grandi opere sono il bancomat dei partiti, così come hanno dimostrato tutte le inchieste giudiziarie che si stanno svolgendo in tutta Italia, meno che a Torino”. È quanto sostiene il portavoce No-Tav Alberto Perino in merito alla linea ad alta velocità Torino-Lione.
Le grandi opere? “Sono il bancomat dei partiti”. Una verità politica, e ormai “anche giudiziaria”, tranne per che per l’opera più costosa e misteriosa: la Torino-Lione. È mai possibile, si domanda il portavoce No-Tav Alberto Perino, che solo la magistratura torinese non veda il problema? “È solo una sensazione, ma sgradevole: come se a Torino i magistrati lavorassero per conto del Pd”, il partito che più di ogni altro preme sull’alta velocità fra Italia e Francia.
Forse anche così, sostiene Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna, si spiega l’ultima raffica di provvedimenti giudiziari – una ventina – emessi alla vigilia del 'contro-vertice' che i No-Tav italiani e francesi organizzano a Lione il 3 dicembre, per smentire le tesi ufficiali del summit Monti-Hollande. “Sembra proprio che le autorità temano la nostra capacità di mobilitazione popolare”. Senza peraltro riuscire mai a spiegare la presunta utilità della maxi-opera, aggiunge il naturalista Luca Giunti, che si è visto annullare un incontro al Politecnico di Milano per “manifesta inconsistenza” dei Sì-Tav.
È l’ennesima “piccola storia ignobile”, si lamenta Giunti: l’incontro universitario, promosso dagli studenti di Milano per il 12 dicembre insieme al più noto trasportista italiano, il professor Marco Ponti – un tecnico che, conti alla mano, 'demolisce' le presunte ragioni della ferrovia più faraonica d’Italia – è stato rinviato in data da destinarsi perché i ragazzi dell’ateneo milanese “non riescono a trovare nessuno che parli in difesa della Torino-Lione”.
Paura di confrontarsi coi No-Tav? E dire che il Politecnico di Milano è “quanto di più scientifico, obiettivo e garantista si possa avere: un tempio del raziocinio e della ragione”. Ci sarebbe da ridere, aggiunge Luca Giunti, se non ci fossero in ballo 26 miliardi di euro, tutto debito pubblico che la Corte dei Conti francese reputa una spesa folle e non giustificabile, dato il crollo storico del traffico merci attraverso le Alpi occidentali. “Se fossimo appena normali, neanche seri, un’opera che costa così tanto e non riesce ad essere giustificata in nessun confronto pubblico dovrebbe essere semplicemente abbandonata e i proponenti derisi per l’eternità”, conclude Giunti, registrando anche l’imbarazzo degli (incolpevoli) studenti milanesi.
Invece: alla vigilia della mobilitazione internazionale No-Tav di Lione, con la storica adesione dei francesi – ambientalisti e amministratori locali – ecco che il movimento valsusino finisce ancora una volta tra le pagine della cronaca giudiziaria: sono 19 i militanti denunciati, e qualcuno costretto ai domiciliari, per reati contestati durante le proteste del febbraio scorso, all’epoca dell’occupazione dell’autostrada del Fréjus.
“È un’inchiesta ad orologeria”, insiste Lele Rizzo: “Si tenta sempre di indebolire il movimento proprio mentre fa delle proposte effettive di mobilitazione, ottenendo peraltro un consenso che continua a crescere: non solo in valle di Susa, ma in tutta Italia, anche se si vorrebbe dimostrare il contrario”. Aggiunge Davide Bono, capogruppo dei 'grillini' alla Regione Piemonte: “In questo paese, le uniche costruzioni abusive che vengono sequestrate e abbattute nel giro di 24 ore sono quelle messe in piedi dal movimento No-Tav”.
L’allusione è ai sigilli subito apposti al nuovo 'presidio' di Chiomonte, allestito al posto della 'baita' della Maddalena, simbolo dell’opposizione al cantiere del super-treno. Secondo Bono, “i soliti blitz condotti di notte o all’alba” coinvolgono “persone che neanche hanno partecipato ai fatti contestati”, in questo caso presunte intimidazioni nei confronti di una troupe video del Corriere della Sera e l’irruzione dimostrativa in un ufficio torinese di progettazione cantieristica.
“Speriamo che, da domani, la giustizia possa essere uguale per tutti”, aggiunge Bono, secondo cui c’è evidentemente “una regia più alta” dietro a quella che i No-Tav definiscono una vera e propria “persecuzione”. Magari, sostiene il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, è una “regia” che “viene direttamente da Roma” – leggasi: governo tecnico. “Mi sbaglierò”, ripete Alberto Perino, ma “c’è la sensazione che la magistratura di Torino sia al servizio dei poteri forti”, quelli che vogliono la Torino-Lione ad ogni costo, senza mai riuscire a dimostrarne l’utilità. Magistratura “al servizio” di Ltf, la società Lyon-Turin Ferroviaire, e addirittura “del Pd”?
“Queste grandi opere – sottolinea Perino – sono il bancomat dei partiti, così come hanno dimostrato tutte le inchieste giudiziarie che si stanno svolgendo in tutta Italia, meno che a Torino”. Solo una settimana prima, nell’ambito di un forum pubblico promosso dalla Cna torinese sul tema della penetrazione della mafia al nord, il procuratore aggiunto Alberto Perduca – coordinatore della clamorosa inchiesta “Minotauro” che ha svelato intrecci pericolosi fra imprese, politica e ‘ndrangheta in terra piemontese – ha dedicato alla valle di Susa solo un veloce passaggio, citando il caso del Consiglio comunale di Bardonecchia, il primo – a nord del Po – ad essere disciolto (già negli anni ’90) per infiltrazioni mafiose.
Se i No-Tav si sentono “criminalizzati” da una magistratura che reputano “distratta”, a causa di “indagini a senso unico”, uno scrittore come Massimo Carlotto avverte: “Le grandi opere come la Torino-Lione sono un’occasione d’oro per riciclare denaro sporco senza il minimo rischio d’impresa”. Ma attenzione: “La mafia non potrebbe riuscirci, senza gli appoggi di cui gode in importanti settori della politica, dell’industria e della finanza”.
Il sociologo Marco Revelli, presente come osservatore il 26 giugno 2011 allo sgombero del sito della Maddalena di Chiomonte, ha ripetuto le sue sensazioni di quel giorno nello studio de “L’Infedele”, la trasmissione condotta su La7 da Gad Lerner: “E’ stato sconcertante – ha detto Revelli – ascoltare cori come “Via la mafia dalla val Susa”, esplosi spontaneamente non appena i militanti hanno creduto di riconoscere le aziende proprietarie delle ruspe salite fin lassù ad effettuare lo sgombero, sotto la protezione di duemila agenti antisommossa, cioè dello Stato”.
Una settimana dopo, su quelle stesse montagne ci furono i drammatici scontri del 3 luglio, con centinaia di feriti. Sette mesi dopo, la prima raffica di arresti: che Livio Pepino, alto magistrato torinese ora a riposo, ha definito una misura sostanzialmente discrezionale e quindi non inevitabile, dando fiato alle polemiche contro il palazzo di giustizia di Torino.
Sullo sfondo, purtroppo, resta completamente irrisolto il nodo della Torino-Lione: spiegazioni chiare sulla presunta utilità dell’opera avrebbero risparmiato anni di proteste e di tensioni. Il premier Mario Monti e il presidente Napolitano hanno evitato di dare risposte esaurienti all’appello di 360 tecnici e docenti dell’università italiana: il progetto della linea Tav transalpina, nato all’inizio degli anni ’90 sulla base di previsioni di traffico già allora “gonfiate”, risulta oggi un’assurdità totale, che ha il sapore della beffa data la catastrofe quotidiana dell’euro-crisi.
“Se qualcuno mi parla ancora di Tav – scrisse Giorgio Bocca nel 2005, quando la popolazione della valle di Susa si sollevò contro la repressione paralizzando i lavori – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo infilato il 25 aprile del ‘45”. Giorgio Bocca se n’è andato, ma lo spettro della Torino-Lione è ancora lì a sfidare il buon senso: vent’anni di cantieri devastanti, col rischio di ridurre a un deserto un’area in cui vivono centomila italiani.
“In base alla legge – ricorda Marina Clerico, docente del Politecnico di Torino e assessore della Comunità Montana valsusina – nessun amministratore pubblico potrebbe mai autorizzare un maxi-cantiere come quello del Tav: anche solo per il rumore, le polveri e i disagi nelle comunicazioni, a due passi dai centri abitati, sarebbe come insediare una gigantesca industria dall’impatto devastante, e senza ancora parlare del rischio rappresentato dalla presenza nel sottosuolo di minerali come l’amianto e l’uranio, per non citare l’interrogativo dell’acqua: la stessa Ltf garantisce solo che gli operai lavorerebbero all’asciutto, ma ammette di non poter affatto assicurare che non verrebbero minacciate le riserve idriche della valle”.
Peggio ancora: secondo Luca Rastello, di Repubblica, l’opera sarebbe davvero realizzabile “solo in caso di golpe”, dal momento che finirebbe per “tagliare la falda idropotabile che, a valle, alimenta la città di Torino”. Se il bilancio finanziario sarebbe sanguinoso, si pretende di far avanzare i cantieri nel silenzio totale della politica e senza mai uno straccio di spiegazione, mentre la rotta Italia-Francia è ormai totalmente disertata dalle merci. Così, la lobby-Tav è sempre più a corto di argomenti, dalla valle di Susa fino al Politecnico di Milano.
Articolo tratto da LIBRE
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