di
Giorgio Cattaneo
16-09-2013
Nel clima di scontro che oppone i No-Tav e i promotori della linea ad alta velocità Torino-Lione, “l’allarme quasi unanime contro la scorciatoia della violenza permette intanto ai fautori della grande opera di alzare la voce”.
“Attorno alla Tav ci sono anche vicende torbide: siamo convinti che non tutti gli attacchi di questi mesi siano riconducibili a persone che fanno parte del movimento”. Con queste parole è il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, a evocare il pericoloso clima della strategia della tensione, dopo i recenti incendi notturni che a Bussoleno, Salbertrand e Gravere hanno colpito aziende coinvolte nel cantiere di Chiomonte.
Tra le “vicende torbide” a cui Durbiano fa riferimento, probabilmente, ci sono anche i 12 attentati incendiari e dinamitardi che già nella seconda metà degli anni ’90 scossero la valle di Susa, rivendicati da strane sigle come “Lupi grigi” che spinsero i media a parlare di “eco-terroristi”. In carcere finirono – e morirono – i due giovani anarchici “Sole e Baleno”, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas, poi riconosciuti estranei agli attentati, sui quali peraltro non è mai stata fatta piena luce. Fantasmi che tornano tristemente d’attualità, nel clima di scontro che oppone i No-Tav e i promotori dell’opera, senza che la politica si sia ancora degnata di spiegare la presunta necessità di realizzare la contestatissima Torino-Lione.
L’allarme quasi unanime contro la scorciatoia della violenza – sottolineato dagli inquirenti con la formulazione di ipotesi di reato di tipo terroristico – permette intanto ai fautori della grande opera di alzare la voce, dal ministro Lupi al commissario speciale Mario Virano, ricevuto al Quirinale dove ha ottenuto l’incoraggiamento ad “andare avanti” con l’unico mini-cantiere aperto, quello geognostico di Chiomonte, anche all’indomani della decisione ufficiale della Francia di non cominciare neppure i preliminari dell’opera, sul versante transalpino, se non a partire dal 2030.
Così, i sindaci della valle di Susa si schierano con decisione contro qualsiasi forma illegale di protesta. Gli amministratori “condannano ogni atto di violenza, intimidazione e vandalismo”. Pesa anche la preoccupazione suscitata dal grave episodio denunciato da una giornalista di “Repubblica”, Erica Di Blasi, che a Chiomonte sarebbe stata “assediata” da tre militanti – ora agli arresti domiciliari – che l’avrebbero minacciata, impedendole di svolgere il proprio lavoro. Nelle strade di Genova, durante il tragico G8 del 2001 – ricorda il segretario del sindacato piemontese dei giornalisti, Stefano Tallia – a chiedere all’informazione di fare la sua parte e a difendere il diritto dei giornalisti ad informare c’erano anche molte delle persone che oggi si riconoscono nel movimento No-Tav: “Ecco perché mi attendo da loro pubbliche dissociazioni dalle violenze di questi mesi”.
Ad infiammare la polemica, il parlamentare europeo Gianni Vattimo e soprattutto lo scrittore Erri De Luca, pronti a difendere il “sabotaggio” come mezzo estremo di lotta, di fronte all’ostinato rifiuto di ogni dialogo da parte delle istituzioni. Tesi: la degenerazione violenta della protesta è frutto della sordità del potere, e comunque – in casi come quello valsusino – la giustizia viene prima della legalità. Lo storico Giovanni De Luna condivide la battaglia civile valsusina e su Erri De Luca precisa: “L’azione a cui allude non è un sabotaggio ma un’interruzione del traffico”, e un blocco stradale non è una protesta violenta. Attenzione: “La violenza è sbagliata, a prescindere dai suoi simboli. Senza contare che introduci una dimensione di clandestinità. E il segreto, la cospirazione, avvelenano la lotta. Non posso partecipare a una marcia sospettando che il mio vicino abbia messo l’ordigno sotto il camion: viene rotto un patto di fiducia”.
Giustificare la legittimità del sabotaggio è “puro delirio” per Massimo Cacciari. Automezzi e depositi dati alle fiamme? “Tenderei a escludere che Gianni Vattimo o Erri De Luca possano approvare un gesto del genere: non c’entrano niente con questi atti di violenza. Ma sbagliano, perché tagliare una rete con le cesoie è cosa diversa dal far saltare una betoniera”. La protesta è sacrosanta, ma con mezzi legittimi: “Anch’io pratico il dissenso, fin quando posso, come mi è capitato con il Mose. Poi però accetto la decisione definitiva. Sennò cosa faccio, mi metto a sparare?”.
È esattamente il tipo di incubo che un militante No-Tav di primo piano, Luca Giunti, richiama senza giri di parole: e se prima o poi toccasse a un poliziotto o ad un operaio del cantiere finire nel novero delle vittime? Per Giunti è venuto il momento di “ingoiare l’orgoglio” e cessare ogni azione che possa essere anche solo sospettata di scadere nell’illegalità. “Già si sono sfiorate le estreme conseguenze nel 2012, con la drammatica caduta di Luca Abbà dal traliccio sul quale si era coraggiosamente arrampicato per protesta. Non oso pensare alle conseguenze di un incidente che dovesse colpire un agente o un operaio del cantiere”.
Parole ora ripetute dai sindaci valsusini: “Siamo preoccupati da questa evoluzione, temiamo che prima o poi – da una parte o dall’altra – qualcuno si faccia male. Non importa che sia un poliziotto, un manifestante o un lavoratore: non deve accadere, per un feticcio come la Tav”. Sandro Plano, presidente della Comunità Montana, chiede che la protesta si contenga “nei limiti e nelle forme previste dalla legge”, e al tempo stesso rinnova alle istituzioni l’invito ad aprire finalmente un dialogo sul progetto ferroviario più controverso d’Europa.
Con una clamorosa rivolta popolare, già nel 2005 la valle di Susa riuscì a fermare la Torino-Lione, costringendo il governo a ritirare il progetto dopo mesi di straordinarie manifestazioni di massa, durante le quali non volò una pietra. In prima fila, allora, erano schierati i sindaci in fascia tricolore. L’attuale progetto-fotocopia viene ripresentato nel bel mezzo della più grave crisi economica dal dopoguerra, mantenendo irrisolti tutti i nodi: una super-linea che rappresenta un inutile doppione della Torino-Modane, l’attuale ferrovia internazionale (semi-deserta) che già attraversa la valle di Susa.
Identico l’impatto sull’ambiente e sulla salute: polveri di uranio e amianto, rischio idrogeologico, cantieri-mostro e devastazioni tali da rendere la valle inabitabile per decenni. Tutto questo, senza che le proiezioni del traffico Italia-Francia, ormai crollato, lascino presagire la benché minima utilità di un’opera simile, che avrebbe costi folli – decine di miliardi di euro – destinati ad aggravare pesantemente il debito pubblico italiano.
Alle accuse dei No-Tav, inutilmente confortate dal parere di 360 autorevoli tecnici e docenti dell’università italiana, puntualmente mortificati dal “muro di gomma” di governi e partiti, non corrisponde alcuna “spiegazione” da parte del cartello politico-finanziario che preme per realizzare l’opera. “La Torino-Lione è il bancomat dei partiti: ecco perché non vogliono rinunciarvi”, accusa il portavoce No-Tav Alberto Perino. Il giallista Massimo Carlotto avverte: “Le grandi opere come questa sono macchine perfette per il riciclaggio del denaro sporco, il capitale di provenienza illecita accumulato dalla mafia”.
Nel “Libro nero dell’alta velocità”, un alto magistrato come Ferdinando Imposimato dimostra il ruolo delle cosche nei cantieri dell’alta velocità italiana, dove un chilometro di ferrovia costa il triplo o il quadruplo rispetto alla Francia o alla Spagna. Per Erri De Luca, l’imperdonabile silenzio della politica è il vero incubatore della violenza che nasce dall’esasperazione. In un clima che – sembra ora ammonire Nilo Durbiano – potrebbe anche covare la torbida lotteria di provocazioni da cui nacquero le pagine peggiori della storia italiana, culminate con gli “anni di piombo”.
Articolo tratto da LIBRE