di
Marco Cedolin
15-03-2012
La Val di Susa è un corridoio di transito all'interno del quale si concentra circa il 35% delle merci che attualmente valicano le Alpi. Il volume delle merci, tuttavia, da ormai 10 anni risulta in calo costante. Malgrado questa evidenza, c'è chi ancora vuole portare avanti il progetto della linea ad alta velocità Torino-Lione.
Negli ultimi mesi i problemi relativi alla contestazione popolare contro la costruzione del Tav in Val di Susa sono tornati prepotentemente a riempire le prime pagine dei giornali, ma purtroppo larga parte degli italiani possiede solo informazioni parcellari intorno all'argomento ed è facile fare confusione.
Innanzitutto dove si trova questa Val di Susa, strapiena di black blok ed estremisti che odiano il progresso e vogliono l'isolamento dell'Italia intera?
La Valle di Susa si trova nella parte ovest del Piemonte, in provincia di Torino e le sue ultime propaggini si fondono senza soluzione di continuità con i paesi dell’hinterland occidentale del capoluogo piemontese. Essa rappresenta un importante sbocco verso la Francia, alla quale è collegata attraverso l’autostrada A32 e la tratta Ferroviaria Internazionale Torino – Modane che negli ultimi 10 anni è stata oggetto di un pesante e costoso riammodernamento dell'infrastruttura.
La Val di Susa che il circuito mainstream presenta come una 'terra ostile' fonte d'isolamento è al contrario un corridoio di transito, all'interno del quale si concentrano circa il 35% delle merci che attualmente valicano le Alpi. Il problema semmai concerne il volume delle suddette merci che da ormai 10 anni risulta in calo costante, tanto sulla ferrovia quanto sui TIR, a dimostrazione del fatto che l'esigenza di trasportare merci sull'asse Est- Ovest sta diventando sempre più esigua, anche a fronte della situazione di recessione che sta approfondendosi sempre più.
L'opposizione al progetto TAV Torino – Lione è nata, cresciuta e si è esacerbata di fronte all'assoluta mancanza di confronto da parte della politica, proprio perché in una valle alpina già profondamente infrastrutturizzata e larga mediamente un chilometro e mezzo, dove coesistono una ferrovia internazionale a doppio binario, un'autostrada, un elettrodotto, due statali, varie strade provinciali e un fiume (la Dora) che scorre nel mezzo, si è preteso con l'uso della forza di procedere nella costruzione di una nuova infrastruttura pesante, comprensiva di un'infinità di tunnel (il più lungo dei quali di 57 km) all'interno di montagne ricche di amianto ed uranio. Senza fornire alcuna motivazione oggettiva che suffragasse la decisione presa, bensì portando solamente a sostegno della decisione una lunga sequela di slogan, ripetuti a mò di mantra in TV e sui giornali.
Naturalmente nessuna persona sana di mente nutre l'ambizione di vivere all'interno di un corridoio di transito, dove l'inquinamento sale alle stelle, il turismo muore, gli immobili si svalutano e ci si ammala frequentemente. Ma fino ad oggi tutti i valsusini si sono adattati (o rassegnati) a fare sacrifici, nel nome di un fantomatico interesse nazionale che imponeva non dovessero vivere in salotto e neppure in sala da pranzo.
Il TAV per molti versi è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché oltre a rendere ancora più invivibile il già asfittico corridoio, avrebbe prelevato a piene mani denaro dalle loro tasche e da quelle di tutti i contribuenti italiani, per procedere alla costruzione di un'opera utile solamente a rimpinguare i profitti delle banche e delle multinazionali del cemento e del tondino, fra le quali campeggiano come capofila le cooperative rosse tanto care al PD.
Nel 2005, una prima volta, il governo tentò di aprire il cantiere del TAV (si trattava come oggi del tunnel geognostico, deputato a diventare la discenderia dell'opera) in località Venaus, ma dopo qualche settimana fu costretto a desistere, di fronte ad una vera e propria insurrezione popolare che aveva reso il territorio praticamente ingovernabile.
Seguirono anni di trattativa condotta all'interno dell'Osservatorio presieduto dall'arch. Mario Virano, sempre rigorosamente senza nessun coinvolgimento della popolazione, che diedero la stura ad un nuovo progetto, più costoso ed impattante di quanto non fosse il precedente, che dovrebbe correre sulla parte opposta della valle. Un progetto oggi definitivo solo per quanto concerne il tunnel di base (tratta internazionale) e tratteggiato fra Torino e Susa (tratta nazionale) poiché ancora allo stato di progetto preliminare.
Senza attendere che l'intero progetto arrivasse a compimento, nello scorso mese di giugno 2011, il governo attraverso un'operazione militare che impegnò oltre 2000 uomini nel bastonare e gasare i cittadini che difendevano la terra in cui vivono, prese possesso di alcuni terreni in località Chiomonte, dove dovrebbe sorgere un cantiere deputato allo scavo di un tunnel geognostico in tutto e per tutto simile a quello a suo tempo previsto a Venaus.
Da quasi un anno il cantiere, ancora in nuce e non comprensivo della zona dove dovrebbe avvenire lo scavo, è presidiato da poliziotti e militari alla stessa stregua di un fortino di guerra e la tensione in Val di Susa continua a rimanere alta, con occasione per incidenti e scontri sulla falsariga di quelli accaduti nelle scorse settimane.
Nel frattempo sia Mario Virano (plenipotenziario in materia) sia il governo hanno iniziato a parlare sulla base di un 'progetto low cost' che comprenderebbe inizialmente il solo scavo del tunnel di base di 57 km (l'unico che abbia alle spalle un progetto definitivo), per poi attendere in un secondo tempo gli sviluppi a livello economico intercorsi nei decenni futuri.
Il costo di una ventina di miliardi di euro (che con tutta probabilità salirebbero a 60) determinato dalla costruzione dell'intera linea, è stato così più volte ridimensionato a solo qualche miliardo, inserendo nel computo solamente il tunnel che per metà pagherebbero i francesi e in parte (forse) usufruirebbe del contributo UE.
Ma davvero potrebbe avere un qualche senso logico lo scavo di un tunnel di 57 km, al costo di almeno una decina di miliardi e con impatti ambientali potenzialmente devastanti, prima che si sia deciso quale uso fare di codesta infrastruttura?
Il senso in realtà alligna nella ferma volontà di portare comunque avanti un progetto nato già morto, all'interno di un territorio che rifiuta radicalmente la costruzione dell'infrastruttura. Ed esprime un'opposizione che resterà inalterata nel corso degli anni. Virano, il governo, le banche e tutti i potentati del cemento e del tondino in realtà non sanno più che pesci prendere.
Non potrebbero proporre con una qualche credibilità una ferrovia per le merci, perché la ferrovia c'è già e una volta emersi dal tunnel, in Francia esisterà solo una linea TAV deputata al trasporto di passeggeri. Non possono proporre una linea AV passeggeri, perché il traffico degli stessi è estremamente esiguo e mai giustificherebbe un investimento di queste proporzioni.
Non possono proporre una ferrovia sulla quale transitino i treni ad alta velocità ed anche quelli merci (come è stato fatto nel resto d'Italia), perché tecnicamente la gestione di una simile impresa non è fattibile e anche sull'AV già costruita la bufala sta pian piano venendo alla luce.
Ma non vogliono assolutamente perdere i profitti miliardari ai quali hanno fatto la bocca, oltretutto per colpa di "quattro valligiani anarco insurrezionalisti e pure luddisti". Ragione per cui, costi quel che costi, si faccia il buco! Anche se questo può comportare reprimere nel sangue la protesta, e poi fra 15/20 anni si vedrà.
Nel malaugurato caso che non ci sia nulla da farci passare attraverso, si saranno magari prosciugate le falde idriche del territorio, mettendo le premesse per fare ammalare una cospicua parte della popolazione, ma si sarà comunque aperto un rubinetto, attraverso il quale i miliardi continueranno a sgorgare nei decenni a venire, come per magia.
Articolo tratto da Il Corrosivo