Teatro Valle Bene Comune, si procede verso la Fondazione

Lo scorso fine settimana al Teatro Valle Occupato di Roma è andato in scena un grande spettacolo per il lancio della campagna per la costituzione della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Dopo mesi di occupazioni, spettacoli ed assemblee, le lavoratrici ed i lavoratori dello spettacolo, riuniti nello storico teatro romano, hanno presentato la loro proposta concreta per il futuro.

Teatro Valle Bene Comune, si procede verso la Fondazione
C’era una volta, in un paese lontano ma solo nel tempo, un uomo colto e lungimirante di nome Gaio. Costui non fece scoperte sensazionali, non conquistò nuovi continenti, né fondò imperi. Eppure il suo nome sarebbe rimasto indelebile sui libri di scuola e non solo. Gaio non era uno statista, eppure visse al fianco dell’uomo più potente di quei tempi. Gaio non era nemmeno un poeta, eppure di poeti si circondava, sostenendoli e incoraggiandoli. In cambio chiedeva solo che gli artisti sostenessero e incoraggiassero, a loro volta, quell’uomo potente. Gaio rese grandi molti di quei poeti ed intellettuali, ma fece lo stesso anche per quel potente di cui fu in effetti intimo amico e consigliere fidato. Tutto questo perché Gaio Cilnio Mecenate, uomo di cultura come si è detto, aveva capito il grande contributo che l’arte avrebbe potuto procurare alla propaganda imperiale e ad Augusto, oltre che a sé stesso. Se non ci fosse stato Gaio forse nessuno avrebbe cantato “l’armi e l’eroe, che primo dai lidi di Troia, profugo per fato, giunse in Italia alle spiagge di Lavinio” e chissà se Ottaviano Augusto sarebbe stato o meno il primo imperatore di Roma. C’è infinite volte, in ogni paese e in tutti i tempi, un despota autoritario affamato di potere. Costui sa bene che per governare solo su tante migliaia, milioni di persone deve tenerle nell’ignoranza, privarle della possibilità di comprendere le ingiustizie subite, far credere loro che tanta disparità sia nell’ordine naturale delle cose. Il despota, appena ottenuto il potere, per prima cosa perseguita gli intellettuali, riscrive regole e programmi scolastici, brucia i libri e chiude i teatri. Tutto questo perché il dittatore, uomo avido di potere e privo di ogni sensibilità, ha capito il grande pericolo che la cultura può rappresentare per l’impero e per tutta la propaganda populista tanto astutamente ideata, oltre che naturalmente per se stesso. Ci sarà sempre qualcuno che cerca di imbrigliare l’arte, se non di indirizzarla, usarla o infine distruggerla. Perché Lei è potente, ha una forza nascosta e per questo è temuta e amata, coccolata e tradita. Perché Lei è immortale, esiste prima di molte altre creazioni e spesso sopravvive ad esse. Perché Lei è indefinibile, ha un nome che significa tutto e non vuol dire niente. Perché Lei è fragile, non pretende salario ma non può nemmeno cibarsi di soli applausi. E allora l’arte, spirito da leonessa e stazza d’agnellino, si è di volta in volta adeguata alle esigenze del suo tempo, nascondendosi dal tiranno balordo, rifugiandosi dal mecenate illuminato. Ma comunque alle dipendenze degli umori dei potenti, dell’impero da fondare o la religione da diffondere. Quando non è stata a questi giochi è rimasta libera, ma ha spesso pagato caro il prezzo della sua intraprendenza. Esiste oggi un’idea diversa. È nata faticosamente nel corso di questi mesi, tra assemblee e spettacoli, attori, cantanti, tecnici e spettatori. Tra città e cittadinanza. Tra palco e platea. È l’idea per cui l’arte si possa autofinanziare, liberata da Mecenati buoni e cattivi, fortificata contro le prepotenze dei despoti. È l’idea per cui l’arte possa essere lasciata libera di esprimersi in tutte le sue forme e colori, e per cui anche noi possiamo essere lasciati liberi di scegliere, valutare e criticare. È l’idea per cui l’arte non è di nessuno, non appartiene a gallerie o singole persone, ma è di ognuno di noi e di tutti noi, insieme. È l’idea che è stata rappresentata al Teatro Valle Occupato durante questo fine settimana. Lo spettacolo è teatro nel teatro, su un palco dove la finzione si mescola con la realtà e l’improvvisazione con lo sketch studiato in un imprevedibile susseguirsi di personaggi, scenette ed oggetti (o persone) in vendita. Tutto inizia con un’improbabile asta gestita da un altrettanto improbabile battitore (Valerio Mastandrea) e passa attraverso la comparsa di un fantomatico magnate russo (Paolo Calabresi), la presentazione di varie opere d’arte tra cui una scultorea Caterina Guzzanti e la scoperta che Giorgio Tirabassi suona (e bene) la chitarra (nel trio con Scarpa e Sassanelli, i Giaguaros). Nel mezzo musica cantata e recitata, oltre alla 'rissa' tra occupanti in cui viene presentato il tema caldo della serata: l’arte può essere messa in vendita? Come trovare i finanziamenti per assicurare il futuro del Valle, delle sue lavoratrici e dei suoi lavoratori senza svendere il lavoro condotto al suo interno? In che maniera possono convivere il principio di cultura come bene comune e le concrete necessità quotidiane? Dopo mesi di occupazioni, spettacoli ed assemblee, le lavoratrici ed i lavoratori dello Spettacolo riuniti nello storico teatro romano hanno presentato la loro proposta concreta per il futuro del Valle Occupato. Una Fondazione a partecipazione popolare grazie a cui assicurare un progetto artistico degno al teatro e quindi anche la copertura economica necessaria. Un’alternativa per permettere a tutta la cittadinanza di godere delle emozioni che si propagano all’interno di uno dei teatri più antichi di Roma. Una possibilità per rendere i contenuti della programmazione fedeli alle tante identità rappresentate dalle occupanti e dagli occupanti dello stabile. Un salvagente per l’arte e gli artisti che la incarnano, ma soprattutto per noi che vi prendiamo parte da spettatori. Perché, come insegnano le storie di Mecenate e del dittatore, la sopravvivenza dell’arte è la nostra sopravvivenza. La sua vivacità la nostra forza. La sua morte la nostra rovina. Personalmente non conosco nessuno degli occupanti e delle occupanti del Valle, anche se in questi mesi ho imparato a riconoscerne qualcuno, confondendo probabilmente elettricisti e musicisti, truccatrici ed attrici, fonici e registi. Ho avuto la fortuna di assistere a qualche spettacolo, oltre che l’interesse di seguire i progressi della battaglia che stanno conducendo e dell’avventura in cui si sono imbarcati. E venerdì tredici ero lì, tra Largo Torre Argentina e Piazza Navona, ad assistere al lancio della campagna per la costituzione della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Invito tutti coloro che non l’avessero ancora fatto a provare l’esperienza del Valle, l’emozione dell’improvvisazione e del talento rivelato, lo stupore dell’umanità celata dietro al trucco dell’artista, la vicinanza e la familiarità che legano spettatore e rappresentazione. Invito tutti ad uscire e mettersi in fila perché lo spettacolo a cui si assisterà ripagherà l’attesa. Invito tutti a prendere coscienza che con un contributo minimo si può rendere un grande servizio non solo a quei lavoratori e lavoratrici del Valle, non solo a Roma e ai Romani, ma alla cultura ed allo spettacolo italiani. Invito tutti a diventare soci fondatori del Teatro Valle Occupato. Invito tutti a fare una donazione minima per godere di un bene che non ha prezzo, non vuole e non deve averne. Invito tutti a smettere di aspettare che arrivi un Mecenate, o chi per lui, a salvare la cultura italiana: aiutati che dio t’aiuta; aiutiamoci che solo noi possiamo farlo. Invito tutti a scendere in strada e riappropriarsi di quello che ci appartiene per diritto, non per proprietà. Perché, come stiamo imparando anche grazie al Teatro Valle, potremmo essere tutti più felici occupandoci di ciò che è nostro.

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