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Teatro Valle Occupato
29-09-2011
Attori, registi, giornalisti, grafici, designer, programmatori, traduttori, artisti, scrittori, professori, ricercatori e studenti. I 'lavoratori della conoscenza' il 30 settembre riuniti in assemblea al Teatro Valle di Roma, occupato dallo scorso giugno, invitano a un dialogo attivo di cambiamento e raccontano "un modello di cittadinanza attiva e un'esperienza politica di contaminazione tra le identità e le professioni come poche se ne sono viste nel nostro paese, fino ad oggi".
Siamo attori e scrittori, cineasti, registi, fotografi e giornalisti, e poi formatori, docenti e ricercatori, traduttori, grafici e consulenti, produttori di teatro e cinema e danzatrici, macchinisti e assistenti di scena, tra di noi ci sono molti studenti, stagisti, collaboratori, come anche partite Iva, contrattisti di ogni tipo, molti di noi lavorano in maniera intermittente - altri stabilmente - nella cultura come nella formazione, nei teatri, nell'informazione, nella scuola e nell'università, nell'industria del cinema e in quella dell'editoria.
Siamo lavoratori della conoscenza, produciamo cioè contenuti, storie e informazioni, trasmettiamo e rielaboriamo saperi, pratichiamo un'arte, ci dedichiamo all'espressione, eroghiamo servizi attraverso consulenze o traduzioni, (auto) organizziamo produzioni, nutriamo quei beni comuni che si ottengono dalle relazioni, dall'immaginazione, dal lavoro culturale e da quello nella formazione.
Ci siamo incontrati durante l'occupazione del Teatro Valle a Roma nella quale riconosciamo un modello di cittadinanza attiva, e un'esperienza politica di contaminazione tra le identità e le professioni come poche se ne sono viste nel nostro paese, fino ad oggi.
Nell'estate più bella che Roma ricordi, ci siamo riconosciuti in quanto 'lavoratori', e non soltanto come appartenenti ad una categoria, ad una professione, fissati come siamo nella nostra gabbia.
Abbiamo incontrato gli studenti, molti dei quali aspirano a fare il lavoro che ci appassiona e ci condanna da molti anni.
E loro, molto meglio di noi, sanno cosa fare e cosa non fare. E abbiamo incontrato anche chi, diverso o simile, ha capito che per continuare ad avere questa passione che è il nostro lavoro dobbiamo conquistare quei diritti e quelle tutele che da sempre abbiamo ignorato.
Il nostro lavoro, come la nostra vita, è quanto di più pubblico ci sia in questo paese. Eppure siamo invisibili. Viviamo in una gigantesca rete che alimentiamo, ci compatisce e ci ammira, ci inghiotte e ci risputa. E che ricostruiamo con cura giorno dopo giorno. Per amore e per odio viviamo di poco, ma siamo tutto.
Di buon mattino ci alziamo e entriamo in classe. Qualcun altro aggiorna il sito del quotidiano che gli studenti leggono alla prima ora. Un altro di noi disegna il blog dove i loro genitori intervengono per esprimere un'opinione su un articolo pagato 3 euro. Più tardi altri di noi correggono le bozze del libro che i fratelli maggiori degli studenti studieranno all'università e chiamiamo al telefono la traduttrice per l'ultima revisione del testo.
Quest'ultima, che lavora a casa, affida suo figlio ad una vecchia conoscenza che da poco lavora a partita Iva presso una cooperativa sociale che ha da poco aperto le sue attività e ha un contratto da 800 euro al mese per 10 ore di lavoro quotidiane.
Questa ragazza è in realtà un'attrice, potrebbe avere studiato all'accademia ma anche in una delle tante scuole di recitazione. Ha molta esperienza, ha lavorato in tante compagnie, si è fatta le ossa in centinaia di spettacoli, stage, audizioni. Integra il suo reddito per trovare spazio per la mente, il corpo e l'espressione. Lei è sposata con un grafico che lavora anche con le case editrici, ma soprattutto con alcuni enti pubblici da cui regolarmente percepisce commesse, e insegna a contratto in un'accademia e all'università dove di recente è riuscito ad aggirare lo sbarramento delle corporazioni.
Il suo contratto è di 600 euro all'anno per 60 ore di insegnamento, più esami, tesine e colloqui con gli studenti. Qui ha incontrato molti precari della ricerca, biologi, chimici, filologi, storici e matematici. In media fanno il suo stesso lavoro da 10 anni, spesso gratuitamente, in attesa della prossima borsa di studio il cui accesso la legge Gelmini da poco approvata ha reso molto più difficile.
Molte di queste persone, per continuare a vivere, sono state costrette a lavorare a partita Iva con cooperative che, a loro volta, ricevono le commesse dagli enti pubblici di ricerca che da tempo non possono assumere nessuno, anche se sono costretti a rivolgersi alle competenze di queste persone essenziali per continuare a svolgere la loro attività. Come gli archeologi che lavorano per le soprintendenze, ma sono dipendenti delle cooperative, anche loro si pagano i contributi, fanno risparmiare l'amministrazione, ma svolgono un lavoro a tutti gli effetti da dipendenti. Al pomeriggio, alcuni di loro telefonano a fratelli o cugini che si incontrano sul set delle riprese dell'ultimo film, e fanno gli elettricisti, le sarte, i macchinisti che hanno un contratto di tre mesi, il tempo della durata delle riprese.
Loro, a differenza degli attori, versano i contributi all'Enpals e non alla gestione separata dell'Inps, perché rientrano in un contratto nazionale di categoria e non sono semplici 'liberi professionisti' che sono obbligati a versare il 26,72 per cento di quanto guadagnano in tasse. Tutti hanno una certezza: dopo quarant'anni non avranno una pensione e hanno poche risorse per pagarsi una pensione integrativa. A sera tutti ci vediamo a cena, a casa o altrove, e facciamo il bilancio della giornata con i nostri compagni di vita che hanno passato il tempo al telefono per una consulenza per un ente pubblico, per un progetto europeo con il preside di una scuola, per una casa editrice o discografica oppure per un progetto di ricerca all'università.
Andiamo a dormire, insieme o da soli, con la certezza che domani ricomincia la stessa corsa del criceto. Qualcuno di noi non dorme perché deve studiare, terminare un racconto o una poesia, rifinire una ricerca. Molti affidano alla veglia il desiderio di uscire da questo teatro dell'impossibile.
Siamo milioni, giovani e meno giovani, professionisti stagisti o tirocinanti, studenti e artisti, precari e lavoratori autonomi. Spesso siamo tutto questo contemporaneamente e anche molto altro. Eppure siamo invisibili. A Roma si dice che tutti noi siamo 240 mila, ma forse molto di più. E così anche a Milano, a Torino, a Napoli e in tutte le città dove ci sono università, scuole, industrie e le loro reti di appalto e di subappalto dell'immaginazione, della conoscenza, della cura e dei linguaggi.
Di noi i giornali hanno parlato come 'cervelli in fuga' all'estero, oppure hanno suonato la colonna sonora che accompagna una vita condannata alla povertà, alla mancanza di immaginazione o di alternativa, tenuta in ostaggio da quella forma particolare di paura che è l'autocensura - se dici quello che pensi, allora non lavori più. Stai zitto, accetta quello che dicono di te e avrai qualche speranza di essere quel criceto che continua a correre sulla ruota.
Muto, senza diritti, senza garanzia di continuare a fare il criceto. Tutto questo è troppo poco e inadeguato. Non ci rappresenta.
Invitiamo all'azione coloro che, come noi, in questi anni sono stati a guardare la propria scomparsa dalla scena pubblica, anche se questa scena non può fare a meno di loro. La nostra Invit/Azione mira a costruire un’assemblea al teatro valle il 30 settembre 2011 aperta a tutti i singoli, le reti, i gruppi, gli indipendenti che in questi anni hanno lottato contro la liquidazione della cultura e della formazione voluta dal governo Berlusconi e dai suoi ministri Tremonti e Gelmini; hanno lottato contro la feroce deregolamentazione del lavoro, sia quello dipendente minacciato sempre di più di perdere il riferimento all'idea di contratto nazionale, sia quello intermittente autonomo e precario, per il quale la mancanza di diritti di cittadinanza, previdenziali, fiscali, sul lavoro è la minaccia della definitiva liquidazione. Nel pubblico, come nel privato, sul mercato come nella pubblica amministrazione, la nostra lotta è comune. Il nostro è un diritto comune che dovremo vivere e conquistare insieme a partire dal prossimo autunno.
Vogliamo condividere, e rilanciare nuove prospettive di azione in comune, con tutti voi a partire dalla discussione su tre punti che ci sembrano fondamentali, e quanto mai comuni:
- reddito per i periodi di non lavoro, formazione e ricerca che garantisca a libertà di espressione per chi fa i nostri lavori ma anche e soprattutto per l'autonomia della vita dell'intera cittadinanza;
- riforma complessiva del welfare che premi l'autonomia della persona, prima ancora che la sua appartenenza ad una categoria, una professione, un sindacato, una 'casta';
- tutele e garanzie per gli intermittenti del lavoro dello spettacolo e della cultura, della formazione, della comunicazione e della ricerca.
- riforma dei meccanismi di trasparenza, democrazia e legalità nella distribuzione delle risorse pubbliche che oggi vengono depredate dalle manovre finanziarie ispirate dall'imperativo del pareggio di bilancio e delle politiche dell'austerità imposte dall'Unione Europea.
Benvenuti al Teatro Valle, benvenuti nella lotta che è da sempre vostra.
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