Il mondo della scienza è diviso tra quanti segnalano i rischi per la salute connessi all'uso dei dispositivi wireless e coloro che li negano. A complicare il quadro, finanziamenti alla ricerca da parte di produttori e operatori delle telecomunicazioni e conflitti di interesse che compromettono la credibilità dei risultati. Intanto, nell'attesa di risposte, nessuno suggerisce chiare misure precauzionali.
Gli effetti delle onde elettromagnetiche sono sotto la lente degli scienziati ormai da diversi anni e una serie di studi ha già sostenuto l'esistenza di un nesso tra lo sviluppo di patologie tumorali e l'uso di telefoni cellulari e cordless.
Tra le più note, la ricerca condotta dallo svedese Lennart Hardell, che ha messo il luce il collegamento tra esposizione prolungata alle radiazioni elettromagnetiche e incremento del rischio di contrazione del glioma, un tumore del cervello, e del neurinoma acustico, che riguarda le funzioni dell'udito e dell'equilibrio.
Il cellulare è un'invenzione relativamente recente, penetrata nelle vite di 5 miliardi di persone ad una velocità straordinaria, in un arco di tempo - appena 30 anni - forse troppo breve per trarre delle valutazioni definitive. Inoltre, agli studi che individuano un rischio nell'uso dei telefoni cellulari, se ne contrappongono altrettanti – ad esempio la ricerca Interphone, coordinata dall'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) con il coinvolgimento di 13 Paesi - che invece li assolvono da qualsiasi responsabilità.
Insomma, una situazione indecidibile, in cui esperimenti ed esiti opposti lasciano sospeso il giudizio e, insieme ad esso, la possibilità di disporre delle prime misure per limitare - nel caso in cui i rischi fossero reali - i potenziali danni.
O meglio: in attesa di giudizio le aziende delle telecomunicazioni non sono vincolate ad accompagnare i propri prodotti e le relative campagne promozionali con messaggi di allerta, come avviene per le sigarette, ma qualche precauzione iniziano a prenderla, cominciando ad inserire nei libretti delle istruzioni dei cellulari la raccomandazione di tenere il dispositivo ad almeno 1,5 centimetri dall'orecchio.
Come mai questa accortezza? Quanti in effetti ne verranno al corrente? E infine, sarà sufficiente? Tutte domande senza risposta, dal momento che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ad oggi non si è pronunciata con una propria valutazione del rischio e si è limitata a sollecitare ulteriori indagini.
A sparigliare le carte, nel maggio di quest'anno, una nuova ricerca della IARC, che questa volta classifica i cellulari come potenzialmente cancerogeni e li colloca nella stessa categoria dei gas di scarico, 2B.
Ancora di più allarmano le prime voci di possibili condizionamenti da parte di compagnie telefoniche e produttori, che sarebbero in grado di sostenere finanziariamente i progetti di ricerca, ma soprattutto di influenzare la continuazione e la pubblicazione di studi che rivelassero evidenze per loro scomode.
Nel novembre scorso il programma Rai Report ha dedicato una puntata a questo tema, raccogliendo le testimonianze di ricercatori quasi privi di fondi perché indisponibili a farsi finanziare dagli operatori della telefonia (come Lennart Hardell) o perché le società non erano più disposte a supportare un'indagine una volta emersi risultati allarmanti (come è accaduto ad Henry Lai dell'Università di Seattle). Fino al caso di un ricercatore governativo, Jerry Phillips, cui è stato intimato di non pubblicare la ricerca, pena la fine della sua carriera, effettivamente interrotta a seguito della divulgazione nel 1998.
In entrambe le ricerche, di Lai e di Phillips, gli esperimenti mostravano, a seguito dell'esposizione, il fenomeno del dna interrotto, un effetto biologico che può essere all'origine del cancro.
Certo, anche questo in via ipotetica. Gli studi dovrebbero andare avanti per avere risposte, ma la questione è qui chi ha interesse ad avere risposte.
Non le imprese che rischiano una contrazione del loro mercato. Non lo Stato che dalla telefonia ottiene un'importante quota del gettito fiscale. E forse neanche noi consumatori, spesso incapaci di cambiare le nostre abitudini di consumo anche di fronte alla consapevolezza di possibili rischi per la nostra salute.
Se invece ci interessa avere risposte e tutelarci, alcune cose sono alla portata del governo e di tutti noi. Destinare anche una piccola quota dei 4 miliardi incassati con l'assegnazione delle frequenze della banda larga alla ricerca sulla cancerogenicità dei dispositivi wireless. Comunicare, e da parte nostra applicare, tutte quelle misure che possono limitare i rischi - uso degli auricolari, messaggi di testo, telefono fisso in casa e in ufficio. Mettere un limite alla diffusione dei telefonini tra bambini e adolescenti, i più esposti, per la maggior penetrazione delle onde nel cervello, qualora la minaccia fosse reale.
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