di
Andrea Boretti
28-07-2011
Maree nere e referendum di giugno non sono bastati al governo italiano, che continua a rilasciare per mano del Ministro dell’Ambiente licenze per la realizzazione di indagini esplorative dei fondali italiani a 'Big Oil'. La società civile e le associazioni ambientaliste, intanto, si attivano per fermare ricerche e trivellazioni, l’ultima azione in ordine di tempo è la proposta di legge della Regione Puglia.
Da quando la marea nera nel Golfo del Messico ci ha aperto gli occhi, la guerra 'pro' o 'contro' trivellazioni torna ciclicamente e giustamente alla ribalta. Forse non se ne parla nei TG o sui giornali cartacei ma l'attenzione verso questa tematica è alta e rimbalza da blog a blog, da giornale online a profilo Facebook, e così via.
Nel corso dell'ultimo anno l'attenzione si è spostata in particolare sul Mar Adriatico e sulle isole Tremiti, uno dei gioielli più preziosi di tutto il Mediterraneo, in queste zone, infatti, la Petroceltic Italia - controllata di una multinazionale irlandese - sta eseguendo indagini ad una profondità di 140m in un'area di 730 chilometri quadrati a circa 26 chilometri dalle Tremiti, appunto.
L'anno scorso la licenza rilasciata dal Ministro dell'Ambiente Prestigiacomo alla società irlandese era stata bloccata a causa della sollevazione popolare seguita alla marea nera, quest'anno pare ci si stia riprovando e in maniera decisamente più convinta.
La Petroceltic ha, infatti, già iniziato le sue indagini attraverso la tecnica dell'Air-bombing e questo ha scatenato nuove proteste della società civile e delle associazioni ambientaliste (C.S.N., F.A.I., Legambiente, Lipu, WWF Italia) che a seguito delle mancate conferenze di servizio promesse dalla Prestigiacomo hanno deciso di fare ricorso al TAR del Lazio.
L'avvocato Angelo Masucci, legale di WWF Italia, sintetizza così le ragioni del ricorso: “Le ragioni del ricorso sono sia di natura formale sia di natura sostanziale. Tra le prime rientra il mancato coinvolgimento nella procedura di V.I.A. della Regione Puglia e del Parco Nazionale del Gargano.
Tra le seconde il mancato approfondimento degli effetti dannosi della tecnica dell'Air Gun, probabilissima causa dello spiaggiamento dei capodogli e di molteplici squilibri dell'eco sistema marino, dei rischi di un incidente petrolifero in un mare chiuso e piccolo come il nostro mare e soprattutto il mancato esame cumulativo ed integrato dei vari progetti (in totale 11) che la Petrolceltic ha in corso. Un grande progetto è stato trattato cioè come se ne fossero 11 piccoli, eludendo lo studio del reale impatto cumulativo e delle interferenze tra loro”.
A questo ricorso si affianca poi una proposta di legge della Regione Puglia che ha l'esplicito scopo di vietare “prospezioni, ricerche e coltivazioni di idrocarburi liquidi nelle acque prospicienti Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia”, praticamente tutto l'Adriatico. Onofrio Introna, presidente del Consiglio Regionale, commenta così: “sono certo che l'iniziativa della Puglia sarà di esempio ad altre regioni adriatiche che condividono preoccupazioni e attenzioni per l'ecosistema marinaro e costiero (...).
Il nostro mare e in particolare le nostre splendide isole, le Tremiti, sono interessati dai progetti di multinazionali che rischiano di aggredire queste acque per pochi barili di pessimo petrolio. Il disastro che ha devastato il Golfo del Messico è un precedente quanto mai sinistro: i profitti di pochi minacciano il patrimonio naturale e paesaggistico adriatico, che rappresenta una ragione di vita per milioni di pugliesi, molisani, abruzzesi e di cittadini italiani e balcanici”.
I referendum popolari di giugno sembrano non aver insegnano nulla ad un governo impegnato solo a sopravvivere e a coltivare gli interessi di pochi, hanno però insegnato molto agli italiani che ora sanno che nonostante il boicottaggio del sistema dei media esistono forme di protesta e comunicazione che possono rompere questa cortina e permettere di proteggere i beni comuni.