di
Alessandra Profilio
05-06-2013
Continuano le manifestazioni in Turchia dove la protesta per difendere 600 alberi destinati a essere abbattuti nel giardino Gezi Park di Istanbul è divenuta la rivolta di un intero paese contro l'autoritarismo del premier islamico Recep Tayyip Erdogan.
Continuano le manifestazioni in Turchia dove la protesta per difendere 600 alberi destinati a essere abbattuti nel giardino Gezi Park di Istanbul è divenuta la rivolta di un intero paese contro l'autoritarismo del premier islamico Recep Tayyip Erdogan. Ieri migliaia di manifestanti sono tornati nella piazza Taksim di Istanbul per ribadire che Erdogan “deve dimettersi”.
Il bilancio delle vittime della protesta antigovernativa è salito a tre. L'ultima vittima Abdullah Comert, è un ragazzo di 22 anni deceduto in ospedale dopo essere stato colpito da un colpo d'arma da fuoco durante scontri nel sud della Turchia al confine con la Siria. La prima vittima, provocata da un colpo di arma da fuoco alla testa, si chiamava Ethem Sarisuluk. La seconda vittima aveva soltanto 20 anni. Il ragazzo è morto ad Istanbul investito da un taxi che si è lanciato contro la folla di manifestanti.
Ieri il vicepremier Bulent Arinc ha chiesto scusa per la “eccessiva violenza” da parte della polizia contro la prima manifestazione, quella contro la distruzione del parco che però, tuttora, resta confermata.
Arinc inoltre ha ribadito la linea dura di Erdogan nei confronti della protesta anti-governativa e ha affermato che le forze anti-sommossa - la cui estrema brutalità ha suscitato critiche e allarme in tutto il mondo - “hanno fatto il loro lavoro”.
Amnesty International ha indicato oggi che dal 29 maggio oltre 2000 manifestanti sono stati feriti in diverse città della Turchia. Il bilancio del governo è invece di 244 poliziotti e solo 64 manifestanti feriti.
Al fianco della protesta anti-Erdogan è sceso in campo il sindacato turco della funzione pubblica Kesk, che ha proclamato uno sciopero di due giorni di “avvertimento” al governo. "Il terrore esercitato dallo stato contro manifestanti pacifici - accusa il sindacato - minaccia la vita dei civili".
“L'uso sproporzionato della forza da parte della polizia non può essere una risposta accettabile alle proteste”. Questo il commento del ministro degli Esteri Emma Bonino che ha sottolineato che il diritto a manifestare pacificamente “è un pilastro irrinunciabile della democrazia, come lo sono il pluralismo e la tolleranza”.
“Le notizie che provengono dalla Turchia sono fonte di forte apprensione, ed è molto grave che le tensioni di questi giorni abbiano causato anche un bilancio di vittime”, aggiunge il ministro. "Ci attendiamo che in Turchia tutte le parti si adoperino per far cessare ogni violenza e per promuovere il necessario clima di dialogo e pacifico confronto tra le diverse posizioni ed orientamenti".
Intanto nella notte scorsa a Smirne la polizia ha arrestato 24 persone accusate di avere “incitato ai disordini e fatto propaganda” per avere pubblicato dei tweet di sostegno alle manifestazioni antigovernative. Altre 14 persone sono ricercate.
Qualche giorno fa Erdogan in un'intervista aveva definito Twitter una “cancrena della società”.
Proprio nei giorni scorsi la dura repressione messa in atto dal governo turco era stata denunciata da Emma Sinclair-Webb di Human Rights Watch (HRW): “Uno dei principali problemi della Turchia in tema di diritti umani è proprio l'intolleranza nei confronti della libertà di parola. I giornalisti vengono regolarmente citati in giudizio per diffamazione dai politici. I redattori e gli editori non sono molto ben disposti ad accogliere critiche”.
Sulla stessa linea anche l'accademico statunitense Juan Cole, storico del Medio Oriente e moderno Asia del Sud. “La tradizione politica turca – scrive Cole - non è mai stata particolarmente tollerante nei confronti del dissenso e, sfortunatamente, AKP (il partito di maggioranza in Turchia) continua la linea del pugno di ferro verso le opinioni politiche che non sono di suo gradimento.
Reporter senza Frontiere pone il Paese al 154° posto per la libertà di stampa, mentre 76 dei suoi giornalisti si trovano in prigione di cui 'almeno 61 sono detenuti a causa del loro lavoro'. Gli osservatori sono stupiti di come le testate del sabato mattina non abbiano, di fatto, minimamente accennato alle proteste. Chiaramente, i redattori sono stati inviati a tacere sui fatti tramite delle intimidazioni”.
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