Quanto più cresce la popolazione, e con essa il fabbisogno energetico, tanto più aumentano le emissioni di gas a effetto serra. Una ricerca dell’università di Bahçeşehir denuncia la mancanza di risposte politiche da parte del governo turco e avverte: pagheremo poi i costi del cambiamento climatico.
La crescita dei Paesi emergenti si sta accompagnando ad un’ascesa vertiginosa delle emissioni di gas serra: in Cina si è assistito ad un incremento del 186 per cento in venti anni, in India del 152 per cento e in Iran del 137 per cento.
La Turchia sta percorrendo la stessa strada e secondo uno studio condotto dal Centro per la ricerca economica e sociale della Bahçeşehir university (BETAM) ha sperimentato un aumento delle emissioni pari al 98 per cento tra il 1990 e il 2009, da 187 milioni a 370 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.
L’incremento delle emissioni ha preso avvio nella metà degli anni Ottanta e non si è mai interrotto con l’unica eccezione di un calo del 2 per cento nel 2008, a causa del primo impatto della crisi economica globale. Il maggior contributo viene dal settore energetico, a cui si deve il 75 per cento delle emissioni.
La correlazione tra scelte economiche e emissioni è, secondo gli studiosi di Istanbul, fin troppo evidente: gli stessi membri del governo utilizzano la minaccia di un rallentamento della crescita per giustificare la mancata adozione di impegni ambientali che - in linea con quanto professato da altre economie emergenti e dagli stessi Stati Uniti - ostacolerebbero la loro competitività.
Quel che però la ricerca del BETAM si propone di evidenziare è che scelte oggi considerate competitive potrebbero provocare effetti irreversibili sull'ambiente e riflettersi comunque in futuro in nuovi costi, a cominciare da quelli per l’adeguamento ai cambiamenti climatici.
Per i ricercatori la Turchia dovrebbe iniziare ad analizzare le conseguenze a lungo termine della sua politica e introdurre dei piani di incentivazione per le fonti energetiche rinnovabili, il cui sviluppo è stato affidato finora solo all’iniziativa privata.
Al contrario di quanto auspicato dallo studio, invece, il recente Piano d'azione sui cambiamenti climatici adottato dal Ministero dell'Ambiente e delle Foreste turco non ha posto alcun obiettivo per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e prevede anzi la costruzione, entro il 2023, di ulteriori centrali a gas e a carbone e di tre nuove centrali nucleari.
Propositi che la collocano lontano dalla tendenza alla diminuzione delle emissioni manifestata dall’Unione europea, cui pure aspira a far parte, e più in generale dal dibattito globale sul cambiamento climatico.
L’adesione al Protocollo di Kyoto, decisa solo due anni fa, non ha prodotto alcuna conseguenza, in quanto il Paese è stato esonerato dal conseguimento degli obiettivi per il 2012.
Per quanto riguarda il prossimo appuntamento sul clima delle Nazioni Unite a Durban, dal 28 novembre al 9 dicembre 2011, i ricercatori non confidano nell’assunzione di maggiori impegni da parte del governo, a meno che non vengano introdotti target legalmente vincolanti, e non solo volontari.
Per la Turchia, avverte il rapporto, potrebbe essere l’ultima occasione.