Tutto sta correndo

Parallelamente alla situazione di stallo che caratterizza la politica italiana dominata da 'B. and B.', esiste un'altra Italia che si prepara per l'ennesimo riscatto. Si tratta di scelte drastiche e profonde, come per esempio è stato per la Resistenza.

Tutto sta correndo
Tutto sta correndo. Le notizie intendo dire. E anche noi. Ma da noi in Italia le notizie sono filtrate per così dire dalla situazione di fondo di B. and B. (Berlusconi e Bossi). Prima c’era anche Fini e adesso non c’è più. È uno stallo ultra decennale. Uno stallo in qualche modo rassicurante (per il carattere italiano). Delle icone (B. and B.) di cui una, Bossi, rosicchia sempre più potere ma invecchia e l’altra, inossidabile, inaffondabile, intramontabile, insuperabile accumula, accumula, accumula. Quattrini. E anche popolarità. E ci fa digerire tutto. Bugie e bugie camuffate. Che una cosa sembra l’altra. Bossi però non ci casca. Tira a fare il suo e così la sua squadra. ‘Celoduro’ la vince. L’opposizione? Mah. Figurine lontane. Che non impensieriscono. Non c’è niente che impensierisce. L’Italia pare digerire tutto. Figure (Scaloja) che si mettono via per un po’ e poi tornano al loro posto (ministro). Un po’ di quarantena e tutto torna come prima, anche per il povero Bertolaso. Osama? Gheddafi? Bombardamenti mirati? Il Milan? Ghe pensi mi. C’è un’altra Italia. In parallelo. Che convive con quanto sopra. Italiani che sbarcano il lunario, che si sforzano di sbarcare il lunario e sennò pazienza. Pazienza per che cosa? Che le cose cambino? Che venga un cambio salutare? Sono cose che non si possono dire con le parole. Ma c’è un’Italia che si prepara per l’ennesimo riscatto. Lo ha fatto Vittorio Arrigoni andando a Gaza. Lo abbiamo capito anche se certe cose non si possono dire a parole. Sono scelte drastiche e profonde. Come per esempio è stato per la Resistenza. Che si è voluto ridurre e circoscrivere e delimitare. Al punto che oggi (B. and B. regnanti) repubblichini e partigiani sono sullo stesso piano. Tanto si digerisce tutto. Oggi siamo pappa e cacio con Gheddafi, onori e affari (anche personali, sennò che affari sono?) domani lo bombardiamo. E i pm sono dei comunistacci. Leonardo Cocito, medaglia d’oro della Resistenza era un comunista convinto, ma era prima di tutto un italiano convinto, come lo fu suo fratello fino ai fatti di Ungheria del ’56. Quando morì impiccato l’ufficiale tedesco che presenziava alle esecuzioni (impiccarono anche altri partigiani catturati con lui), ammirato per il suo coraggio, disse al medico italiano che constava la morte: “Questo essere uomo!” È vero ci sono italiani (forse i più) e italiani. Cocito è rimasto nella memoria anche perché è stato ritratto più volte da Fenoglio. Fu il suo professore d’italiano; “Era l’idolo del liceo”. Ne Il partigiano Johnny in alcune magnifiche pagine Fenoglio (visceralmente anticomunista) ne dà un’immagine che stravolge la verità e la figura di questo splendido italiano (e comunista). Non è un'icona Cocito e né un santino (comunista). Tornato dal fronte iugoslavo, l’8 settembre del quarantatré comunica, democraticamente, alla moglie che, previo il suo assenso, si sarebbe dato alle macchia. I fascisti della Muti scherzosamente li chiamava 'mutifer'’. “Il Mutifero, molti mutiferi – incredibile a dirsi - sono persone per bene, forse vorrebbero passare con noi - forse, forse”. Sono le ultime righe di un biglietto al suo diretto superiore prima di cadere nella trappola della Muti. Serve a distanza di quasi settanta anni ritornare su una figura come questa? Io direi proprio di sì. Aiuta a trovare l’ossigeno necessario a non asfissiare. Aiuta a dare nome e connotazione a quello che accade recuperandolo dallo stravolgimento e dalla manipolazione. Aiuta a ritrovarsi e a ritrovarci. Aveva anche un figlio, ha sacrificato tutto per morire a 31 anni. Grazie Leonardo Cocito. Grazie Vittorio Arrigoni. Hasta siempre. “Degli incroci di asfalto, rettilinei che si perdono nella sabbia o si confondono con il corso di torrenti essiccati. La Mauritania è innanzitutto questo: una natura intrattabile, disabitata dove il vento cancella senza posa le tracce d’itinerari precari, dove la reversibile ondulazione delle dune erode le piantagioni degli uomini. Un’architettura di vento in un vuoto paradossale, senza limiti. Una capitale che ha appena quarant’anni e che vive nella memoria dei nomadi oggi raccolti, resi sedentari senza avere cessato tuttavia di dialogare col deserto…”. È l’incipit di una corrispondenza di Jacques Bertoin, amico di una vita. Africa e nord Africa erano i suoi territori di elezione. Scrittore e giornalista per la sua morte inaspettata e improvvisa nel luglio 2008 si sono spesi soprattutto scrittori e giornalisti di lì. Ci credeva ma non poteva immaginare (e chi lo poteva?) quello che di lì a non molto sarebbe successo. Ma è come se ‘le printemps arabe’, oggi in corso, dia corpo a un suo sogno. Ritornerà con noi a visitare luoghi e città di cui senz’altro avrebbe parlato investiti come sono da un vento di rinnovamento.

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