di
Elisabeth Zoja
21-12-2010
La settimana scorsa i ministri dell’Unione Europea hanno annunciato l’abbassamento delle quote della pesca per il 2011 nel Mar Baltico e nel nord dell’Atlantico. Per determinare le nuove quote è stata seguita una proposta della Commissione europea. Sia i commissari UE sia le organizzazioni ambientali hanno però opinioni contrastanti sui risultati dell’incontro.
Quante volte all’anno dovremmo mangiare del pesce? Trecentosessantacinque, cinquantadue, dodici o addirittura zero? Non c’è una risposta che valga per ognuno di noi, ma complessivamente stiamo consumando troppo pesce perché ne rimanga in futuro.
Nella notte tra martedì 14 e mercoledì 15 dicembre i ministri dell’UE si sono riuniti a Bruxelles per determinare le quote della pesca per il 2011. L’incontro è durato ben 17 ore, sebbene riguardasse solo il Mare del Nord e nel nord dell’Atlantico. I ministri della pesca hanno deciso che nel 2011 si potrà catturare complessivamente meno che nel 2010, ma in determinate zone le quote per alcune specie sono addirittura aumentate.
Quasi il 90% delle riserve in Europa subisce una pesca eccessiva, in particolare quelle di merluzzo, le cui quote sono state diminuite dal 3% al 50% a seconda della zona. In due aree però, la cifra è rimasta immutata, mentre in una terza è addirittura aumentata del 25% (nonostante la Commissione europea avesse chiesto un abbassamento di tale cifra per tutte le zone).
La Commissione aveva infatti mandato una proposta, basata su un referto dell’International Council for the Exploration of the Sea, che però non è stata seguita fino in fondo. Secondo un comunicato “la Commissione resta molto preoccupata per lo stato delle riserve di merluzzo”.
Per quel che riguarda altre specie, invece, la quota della pesca è aumentata complessivamente: per la sogliola del 15% e per l’aringa del 22%.
Nonostante ciò, secondo Maria Damanaki, commissaria responsabile UE, l’accordo è andato “molto bene”. Anche il World Wide Fund for Nature (WWF) si dichiara soddisfatto in generale, poiché, “diversamente dal solito, (le decisioni) divergono nettamente meno dalle opinioni scientifiche”. Nell’incontro di ottobre sul Mar Baltico, ad esempio, le quote dell’aringa sono state abbassate del 39%, contro il 63% proposto dalla Commissione europea.
“Per i pescatori l’abbassamento delle quote non è certo facile da gestire - afferma Ilse Aigner, ministro dell’agricoltura tedesco -. I loro posti di lavoro però, dipendono anche dalle riserve di pesce, che vanno dunque protette”.
Le principali specie a rischio sono il pesce spada, il pesce persico, varie specie di tonno, la sogliola del Mar Baltico e il salmone dell’Oceano Atlantico. Le principali specie ancora persistenti sono invece lo sgombro, la sardina e il merluzzo del Mare Artico, come rivela il WWF.
In un recente rapporto sulla biodiversità del programma ambientale delle Nazioni unite UNEP si legge che nel 2050 le riserve di pesce saranno diminuite in quasi tutte le zone di pesca e che vi rimarranno principalmente specie piccole in basso alla catena alimentare.
Attualmente l’1,2% dell’area globale marina è protetta, un netto contrasto con il 10%, che era l’obiettivo fissato per il 2010.
L’incontro a Bruxelles difficilmente cambierà la situazione; Saskia Richartz di Greenpeace lo definisce “un semaforo verde alla pesca eccessiva”. Nonostante “alcune linee guida dettate dalla Commissione siano state rispettate […], una serie di quote importanti sono ancora troppo alte”.
Abbiamo visto che il WWF è invece complessivamente soddisfatto e approva anche la decisione di “rivedere il piano di ricostituzione del merluzzo, che non ha ancora dato buoni risultati”. Per un miglioramento decisivo, però, l'associazione opina che “l’annuale mercanteggiare di quote” dovrebbe venir sostituito da “un programma di gestione della pesca a lungo termine”.