Ungheria, a due settimane dal disastro gli sfollati tornano a casa

Il Governo ungherese vara una legge ad hoc e arresta il miliardario dirigente della Mal, la raffineria responsabile dell'incidente. Intanto, senza che siano state verificate le condizioni minime di sicurezza, agli sfollati viene concesso di rientrare nelle abitazioni e alla Mal di tornare operativa.

Ungheria, a due settimane dal disastro gli sfollati tornano a casa
Facciamo il punto. Lo scorso 4 Ottobre in Ungheria da una breccia in un bacino a cielo aperto di un impianto per la produzione di alluminio della Mal Zrt sono state liberate nel Marcal, un affluente del Danubio, e nell’area circostante 50 tonnellate di Arsenico, Mercurio e Cromo. Il disastro non ha precedenti e può essere paragonato solo a Chernobyl e al Golfo del Messico quanto ad impatto ambientale. Nella tragedia 9 persone sono morte, 120 sono rimaste ferite e altre sono entrate a contatto con i fanghi inquinanti con conseguenze che ad oggi non sono prevedibili. Il Marcal, fiume che ha accolto i fanghi per primo, è oggi chiamato 'fiume morto', il Danubio invece, in cui il Marcal si inserisce, pare essere stato salvato. In Serbia dicono che i valori delle acque del fiume sono nei limiti di legge e che il pesce è quindi commestibile e sicuro. Il 7 Ottobre il satellite GeoEye Data mostrava una intensa macchia rossa che copriva un’area di circa 40Km quadrati. Evacuata tutta la popolazione sono iniziate le preoccupazioni per gli animali, per molti dei quali, però, pesci inclusi, non c’è niente da fare. La situazione è quindi molto grave e il governo Ungherese di Viktor Orban sta reagendo in maniera ambigua. Da un lato il direttore della Mal, Zolthan Bakonyi uno degli uomini più ricchi d’Ungheria, è stato arrestato con la grave accusa di danno ambientale, omicidio colposo e messa a repentaglio della pubblica sicurezza, dall’altro pur varando una legge chiamata LEX MAL (che nazionalizza le aziende coinvolte in disastri ambientali e quindi anche la Mal) è stato dichiarato che questa riprenderà la lavorazione già in settimana nonostante le proteste di Greenpeace e altri gruppi ambientalisti. Inoltre, finita in questi giorni la ciclopica diga – 1.500m di lunghezza, 30m di larghezza e 5m di altezza - che dovrebbe proteggere gli abitanti di Kolontar, il villaggio più colpito dal disastro, da eventuali future esondazioni, il Governo ha predisposto il rientro degli sfollati nelle proprie abitazioni. Tutto ciò avviene dopo poco più di 10 giorni, senza che siano state verificate le condizioni minime di sicurezza per l’impianto e senza che un trattamento definitivo né per la neutralizzazione dei fanghi inquinanti né per il loro recupero. A testimoniare la precarietà della situazione resta infatti l’obbligo, per chi rientrerà nella propria casa, di indossare una mascherina sul viso per circolare lungo le strade.

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