Un uomo temporaneo: la chiave per porsi domande e cercare risposte

“Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare davvero qualcosa, costruisci un nuovo modello che renda obsoleto quello attualmente in vigore.” Non credo esistano parole migliori di quelle dell’architetto Buckminster Fuller, per sintetizzare il messaggio di “Un uomo temporaneo”, l’ultimo libro del nostro amico Simone Perotti (edito da Frassinelli).

Un uomo temporaneo: la chiave per porsi domande e cercare risposte

In generale, credo che per qualificare una qualsiasi opera d’arte, il prerequisito essenziale sia la sua “non esauribilità”, una volta che abbiamo interrotto il contatto sensoriale con essa. In base a questo presupposto, un’opera è definita artistica se continua anche dopo la fine. Se mantiene cioè un rapporto interlocutorio con chi l’ha sperimentata, anche dopo che la mera esperienza percettiva sia esaurita. Una scultura, un dipinto, un edificio, un film, un panorama: quanto resta di essi, dopo che non ci troviamo più al loro cospetto? E’ mutato qualcosa, in noi, dopo essercene fatti rapire? E per quanto tempo? E come?

In base a questa personalissima definizione, il libro di Simone (che volutamente non definisco né “romanzo”, né “saggio”) è indiscutibilmente un’opera d’arte. Quando l’ho chiuso, al termine di una sua vorace lettura durante una tratta ferroviaria Torino – Reggio Emilia, mi sono chiesto: “E adesso… che si fa?”

Ricordo di aver sperimentato una simile sensazione solo dopo aver visto per la prima volta quello che considero il capolavoro assoluto della storia del cinema, il “2001” di Kubrick. Un film che, a quasi cinquant’anni dalla sua uscita, riveste un significato – almeno per me – tuttora irrisolto.

“Un uomo temporaneo” è la storia umana e professionale di Gregorio, una persona come molti di noi. Se non fosse che viene connotato con un nome proprio maschile, di Gregorio potremmo benissimo ignorare persino il sesso. Gregorio, lo si intuisce fin dalla prima pagina, rappresenta infatti soltanto l’epigono di una trasformazione interiore e, quindi, sociale: la metamorfosi del protagonista da un’asfissiante mentalità contemporanea capace solo di inibire ogni senso e ogni significato, fino alla svolta finale. Travolto dalla grigia ordinarietà di quella che potremmo definire come l’economia del criceto (la spirale mortale del “lavorare per guadagnare per consumare per produrre”), Gregorio acquisisce progressivamente una chiara e lungimirante percezione del sé, proprio a partire dall’istante in cui la minaccia del suo licenziamento si rende per la prima volta concreta.

Da quel momento, si scatena – incredibilmente senza proclami e senza colpi di scena – l’epopea di una persona che ha deciso (consapevolmente o meno, non è questo il punto) di applicare alla lettera la massima di Buckminster Fuller, decostruendo il sistema economico vigente, per azzannarlo, sbranarlo, masticarlo, deglutirlo, digerirlo e trasformarlo. La sua è una fame, crescente e silenziosa, di ri-pensamento dell’intera organizzazione imprenditoriale umana, che coinvolge progressivamente colleghi, prassi operative, organigrammi aziendali e processi produttivi, per insinuare nel modello in vigore quella rivoluzione “da dentro” che non potremo mai aspettarci dalle sovrastrutture precostituite.

Grazie ad uno stile narrativo stupefacente e a tratti spiazzante, che oscilla tra l’apnea delle atmosfere Kafkiane e la plasticità introspettiva di Camus (evidenti i riferimenti a “La metamorfosi” e “Lo straniero”), Gregorio esprime con metodica e meticolosa precisione un vero e proprio inno all’azione: una missione, non dichiarata ma comunque totalizzante, che ha lo scopo di cambiare le persone per cambiare il mondo che queste abitano. Aliena da emotività ed istinti, la vicenda di Gregorio si srotola con asciutta ed essenziale determinazione, venendo così a rappresentare – forse senza nemmeno volerlo – un nuovo modello di leadership latente, in grado di accomunare le persone ed ispirarne i comportamenti.

Un testo certamente profondo e profetico, destinato ad essere affrontato su diversi piani, tutti talmente lucidi e visionari da costringerci – non senza un qualche imbarazzo – a chiederci se… siamo davvero pronti.

*Andrea Strozzi è il fondatore del blog llht.org

 

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