"Il dogma di dovere ad ogni costo produrre-vendere-consumare sempre di più è considerato indiscutibile: ma si tratta di un pericoloso processo che distrugge il territorio, divora lo spazio vitale della Terra e danneggia la sua creatività". In questa chiave Guido Dalla Casa ci racconta di una crisi che non è la fine del mondo ma di una forma di pensiero.
Premesse
Oggi sappiamo che il nostro rapporto con la Natura è quello di un tipo di cellule con l’Organismo cui appartengono: siamo parte integrante di un Organismo più grande, che possiamo chiamare l’Ecosistema, o l’Ecosfera, o più semplicemente, la Terra.
La Terra è un sistema complesso, che vive alimentandosi con l’energia solare e mantenendosi in situazione stazionaria, almeno se si considerano tempi di ordine inferiore a qualche milione di anni.
L’Ecosistema complessivo è costituito di venti-trenta milioni di specie di esseri senzienti, oltre agli esseri collettivi, ai Complessi di viventi e a tutte le relazioni che li legano fra loro e che li connettono al mondo inorganico.
Sappiamo anche che nei sistemi complessi si manifestano fenomeni mentali che rendono completamente imprevedibile l’evoluzione del sistema. Anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive, possiamo dividere il pensiero scientifico-filosofico attuale su questi temi nelle seguenti correnti:
- una corrente 'spiritualista' in cui il sistema complesso 'Terra' o 'Ecosfera' è considerato anche mentale (teoria di Gaia);
- una corrente 'materialista' in cui l’Ecosfera è considerata semplicemente un sistema complesso che si evolve prendendo 'a caso' la via successiva ad ogni biforcazione-instabilità.
In entrambi i casi comunque si riconosce la necessità di ragionare in termini sintetici-olistici e non considerare i singoli processi come isolabili e trattabili con una modalità lineare di causa-effetto. Ci sono sempre moltissime retroazioni intercollegate fra loro: il grado di complessità è elevatissimo.
È importante notare che quanto diremo in seguito è valido in entrambe le correnti di pensiero sopra citate: le uniche differenze sono formali o di linguaggio, come ad esempio dire “la Terra vive in questo modo” oppure “la Terra funziona in questo modo”. Poiché personalmente penso che l’Ecosfera sia un essere senziente, userò spesso il primo linguaggio, ma, ripeto, i ragionamenti che seguono restano pienamente validi in entrambi i casi.
L’Ecosfera vive mantenendosi in situazione stazionaria lontana dall’equilibrio termodinamico, alimentata dall’energia solare. Tutti i processi al suo interno sono cicli chiusi che non danno quindi luogo a 'consumo di risorse' né ad 'accumulo di rifiuti'. Non esiste alcuna 'crescita permanente' di qualche grandezza.
Da circa due secoli, cioè da quando Lamarck ha teorizzato per la prima volta nei termini della scienza occidentale l’evoluzione biologica, sappiamo che la specie umana fa parte integrante del mondo naturale, cioè dell’Organismo Ecosfera, è anzi una specie facilmente classificabile (Classe Mammiferi – Ordine Primati): quindi non può non seguire le leggi di 'funzionamento' dell’Ecosfera stessa, o meglio le sue necessità vitali.
La civiltà industriale
Due o tre secoli orsono, in una delle cinquemila culture umane presenti sul Pianeta (l’Occidente), si è sviluppato un modo di vivere distruttivo per la Terra: un modo di vivere che insegue l’incremento indefinito dei beni materiali e l’abolizione del lavoro fisico, considerati come 'desiderabili da tutta l’umanità' e imposti anche agli altri modelli. Così è iniziato quel processo che oggi viene chiamato 'la crescita economica' e che viene perseguito accanitamente dalle Autorità governative e da moltissime istituzioni di tutto il mondo.
La crescita demografica-economica procede normalmente secondo una legge matematica esponenziale, quindi è perfettamente logico che le sue manifestazioni si siano evidenziate veramente solo in tempi recenti, più o meno a partire dalla metà del secolo ventesimo. Questa è la vera crisi. Tutte le altre 'crisi' sono conseguenze di questa, o dettagli. I problemi dell’energia, dell’esaurimento delle risorse, dell’accumulo dei rifiuti, delle variazioni climatiche e così via discendono da questa crisi generale. Non si tratta di un problema economico, ma di un problema filosofico molto più grande, conseguenza anche dell’errore biblico, l’errore antropocentrico.
La crisi non è economica
Il risultato di trattare la crisi attuale come una crisi economica è quello di tirare avanti qualche anno in più (o qualche mese) aggravando però la situazione generale.
Il dogma di dovere ad ogni costo produrre-vendere-consumare sempre di più è considerato indiscutibile: ma si tratta di un pericoloso processo che distrugge il territorio, divora lo spazio vitale della Terra e danneggia la sua creatività. Trattarlo poi come un problema solo italiano, è assai fuorviante: i problemi dei singoli Stati sono dettagli della crisi generale, anche se ogni area ha alcune particolarità sue proprie.
Nella situazione attuale, pensare a voler aumentare i consumi è una vera follia.
Secondo i principi dell’ecopsicologia, anche la crisi morale-sociale-psichica, ormai presente in tutto il mondo tranne che in piccole aree 'non-occidentalizzate', rientra come conseguenza nella crisi globale dell’Ecosistema.
I guasti gravissimi di questa crisi, che dura da più di un secolo, sono:
- spaventosa sovrappopolazione umana e crescita continua;
- perdita della biodiversità;
- distruzione delle foreste e di altri ecosistemi (paludi, savane, ecosistemi acquatici, oceani, ecc.);
- alterazione dell’atmosfera terrestre;
- enorme consumo di territorio in tutto il mondo (passaggio da terreno naturale a terreno urbano, strade, costruzioni, impianti).
Dal punto di vista demografico, oggi siamo arrivati nel mondo a sette miliardi di umani, numero assolutamente intollerabile per l’Ecosistema terrestre. Inoltre scompaiono 20-30 specie di viventi ogni giorno, ad un ritmo diecimila volte più grande di quello naturale. Ogni anno scompaiono 100.000 kmq di foreste, ecosistemi ricchissimi di biodiversità. L’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre aumenta di 3 ppm all’anno. Il consumo di territorio è elevatissimo e questo è un problema particolarmente grave in Italia.
Se guardiamo una cartina del mondo dove sono evidenziate, tramite colorazione o luminosità, le aree 'calde' o di eccesso di temperatura-inquinamento-alterazioni, ci rendiamo conto che assomiglia molto a una scintigrafia o qualche esame diagnostico simile. Le metastasi sono: gran parte degli Stati Uniti e della Cina, il Giappone, la Ruhr, la pianura padana e tutte le aree dove è elevato il 'livello di sviluppo economico'. Anche l’India e il Brasile cominciano a mostrare segnali pericolosi. Altri segni gravissimi si trovano nelle aree sovrappopolate e nei luoghi dove vengono bruciate le foreste per far luogo a piantagioni o praterie per alimentare animali destinati a diventare bistecche per gli umani(!).
Dal punto di vista dell’Ecosistema globale, e quindi anche del nostro che ne siamo componenti, il fenomeno va verso un punto di catastrofe e deve interrompersi al più presto: in altre parole, un collasso del sistema economico è una speranza per la Terra e per tutte le specie di esseri senzienti che vengono distrutte dalla “crescita economica”. Probabilmente, malgrado l’evidenza, manca ancora a livello generale la percezione che l’espansione umana demografica-economica toglie lo spazio vitale agli altri esseri senzienti. Non solo, ma poiché altera il modo di vivere (o di funzionare) della Terra disarticolandone i processi essenziali diverrà ben presto un fenomeno impossibile.
Qualche avvertimento
Negli ultimi decenni non sono mancati gli avvertimenti. Solo come esempi:
- Il famoso rapporto sui Limiti dello sviluppo (1971) non è mai stato seriamente smentito, ma considerato solo nei dibattiti e ignorato nella pratica. Gli aggiornamenti pubblicati nel 1993 e nel 2006 sono stati completamente ignorati anche dalle fonti di informazione. In questi aggiornamenti si evidenziava, anche con studi più raffinati, il notevole peggioramento della situazione generale del Pianeta.
- Nel libro Assalto al pianeta (Bollati Boringhieri, 2000) dei Professori Pignatti e Trezza si metteva in evidenza l’impossibilità di persistenza del sistema economico, relativamente semplice e con una sola variabile (il denaro), in un sistema complesso a molte variabili come l’Ecosistema terrestre;
- Nel Manifesto per la Terra (2004) di Mosquin e Rowe (studiosi canadesi di biodiversità) sono chiaramente indicati la situazione del Pianeta e le linee di azione per tentare una decisa correzione di rotta.
Nessuno se ne è preoccupato: tutto è continuato come prima. Ecco perché c’è la crisi.
Qualche presa di coscienza
Per tentare di fare qualcosa per la 'grande crisi' è necessario prendere coscienza del fatto che:
- lo sviluppo economico è una grave patologia della Terra;
- la situazione stazionaria è il modo di vivere del Pianeta. Tutti i processi devono essere ciclici e quindi non comportare il consumo di 'risorse' e l’accumulo di 'rifiuti';
- l’incremento indefinito dei beni materiali non è un desiderio naturale dell’umanità: ha portato anche malessere e gravi infelicità;
- lo sviluppo economico è un’anomalia nata solo in una cultura umana in un determinato momento della sua storia.
Poi penseremo a gestire il periodo transitorio, problema non facile, ma che ci troveremo davanti comunque. Stiamo parlando di un problema culturale-filosofico, non economico: occorre rendersi conto che questo significa la fine della civiltà industriale, o addirittura della cultura occidentale, almeno in alcuni dei suoi fondamenti; ma si tratta sempre della fine di una forma di pensiero, non della fine del mondo. Altro che pensare al 'mercato' e a far 'ripartire la crescita'.
Riprendendo le pagine di un quotidiano del '93
“Vorrei un capo di governo o di azienda che facesse precedere da un purtroppo le frasi consuete: “dobbiamo aumentare la produzione”, “la ripresa è imminente”… Neppure questa libertà gli è data. Sono costretti anche ad adularlo, il Maligno: se aggiungono un purtroppo li scaraventa in basso come birilli. Questo non è più avere un potere, tanto meno corrisponde a qualcuno dei sensi profondi di comando. L’asservimento all’economia dello sviluppo, senza neppure un accenno di sgomento, dice l’immiserimento, la perdita di essenza e di centro, della politica. Se il fine unico è lo sviluppo, la politica è giudicata in base alla sua bravura (che è pura passività) nello spingerlo avanti a qualsiasi costo….
Non c’è nessuna idea politica dietro, sopra o sotto: c’è il Dio dell’economia industriale geloso del suo culto monoteistico.
Un inferno urbano contemporaneo è fatto di molte cose. Tra le più evidenti, c’è l’eccesso di circolazione di macchine, auto e moto. Contro smog e paralisi si almanaccano palliativi di ogni genere, ma soltanto abbattendo la produzione automobilistica si potrebbe ridare alle città un po' di respiro post-diluviale. Immediatamente sulle piazze liberate dai grovigli di auto, si adunerebbero a migliaia, e a migliaia di migliaia, i tamburi di latta della protesta di quelli a cui fosse stato restituito il respiro: non vogliono la cura, ma la malattia in tutta la sua spietatezza...
Così i chimici che producono veleni per l’agricoltura: vietarli, anche per amore dei loro stessi figli, ne scatenerebbe la collera. Ma sarà la collera dei chimici, o dei veleni in loro? Chi dice che non abbiano un’anima, i veleni che produciamo? … La sola voce concorde, universale, in alto e in basso, grida che nessuna industria si fermi o chiuda, qualsiasi cosa produca, sia pure inutilissima o micidialissima, sia pure destinata a restare invenduta: la sola voce concorde invoca che si aprano cantieri su cantieri e che si investano finanze in nuovi progetti industriali: a costo di qualsiasi inquinamento e imbruttimento, a costo anche di fare accorrere, per l’immediata ritorsione morale che colpisce chi accolga progetti simili, le furie di una intensificata violenza. E se deve, sul mare delle voci tutte uguali, planare una promessa rassicurante, è sempre la stessa: ci sarà la “ripresa”, ne avrete il triplo di questa roba...
(Guido Ceronetti, La Stampa, 9 marzo 1993)
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