Una vita 2.0, intervista a Gianni Davico

È possibile vivere una 'vita diversa' o questo è un privilegio per pochi eletti? Quanti sono disposti a cambiare e quali difficoltà comporta la scelta di vivere 'scollocati'? Qual è la chiave per raggiungere la libertà e, quindi, la felicità? Abbiamo intervistato Gianni Davico che ci ha raccontato la sua 'vita 2.0'.

Una vita 2.0, intervista a Gianni Davico
Qualche mese fa, tra le centinaia di mail quotidiane, mi ha colpito quella di un certo Gianni Davico, che mi segnalava il suo nuovo libro La vita 2.0. Gianni si è 'autopubblicato' il libro perché – come ci ha detto lui stesso - "ci credevo talmente tanto che ho deciso di pubblicarlo per conto mio, pur di farlo uscire". Tra gli aspetti che mi hanno colpito del libro, c'è questo. Il far le cose da solo. Farle, anziché restare a lamentarsi. Non trovo un editore che mi pubblica? Me lo pubblico io! E, con la stessa logica, i politici non cambiano le cose? Le cambio io! Questa è la filosofia che sta dietro il nostro giornale e quindi, se è vero che spesso il mezzo è il messaggio, già questo fatto ha reso di per sé meritevole il libro di Davico. Ma i suoi meriti non finiscono certo qui. Come leggiamo dalla quarta di copertina, “una vita migliore, con meno preoccupazioni materiali e più felice: e questo libro ci spiega come”. E ancora: “lo scopo del lavoro è quello di liberare il tempo”. “Sta a noi darci l'autorizzazione a vivere secondo le condizioni che avremo deciso per noi stessi”... Sembra interessante... Per approfondire i temi trattati dal libro, abbiamo intervistato l'autore. Buona lettura. Gianni, La vita 2.0. Come mai hai deciso di intitolare così questo tuo libro? Il titolo ammicca al Web 2.0 e nello stesso tempo suggerisce l’idea che una vita migliore, nuova, diversa e più piena è possibile. La vita 2.0 perché la 'versione' attuale, la 1.0 per dir così, è piena di stress, infelicità, ingiustizie grandi e piccole. Ma non è necessario che le cose stiano così: possono anche cambiare (dentro di noi per prima cosa). Lo hai editato da solo? Dove si può trovare? Non ho trovato un editore disposto a credere nel progetto: io ci credevo talmente tanto che ho deciso di pubblicarlo per conto mio, pur di farlo uscire. Poiché ha l’ISBN si trova nella maggior parte dei siti che vendono libri. È comunque acquistabile per via diretta tramite il mio sito. Quando è nata l’idea di questo libro e come? Da una sensazione forte che sempre più spesso mi ha preso una volta compiuti i quarant’anni: in parole povere, una consapevolezza maggiore – molto maggiore – verso i meccanismi immutabili che regolano le nostre vite. Mi sono reso conto che c’erano delle tecniche che si possono applicare per semplificare e rendere più felici le nostre vite: allora ho radunato le idee. Questo libro è semplicemente il risultato di quel processo. Hai mai fatto lavori 'tradizionali' o hai scelto fin dall’inizio di vivere in modo diverso? Ho sempre lavorato per conto mio, ma anche in questo sono stato molto fortunato. Appena laureato, sia Giulio Einaudi che Norberto Bobbio mi avevano invitato a proseguire gli studi su Cesare Pavese, che sarebbero stati probabilmente il mio sbocco naturale. Ma non sono riuscito a trovare una maniera per far diventare quella passione un lavoro pagato, e così ho intrapreso altre vie. Non credo comunque che si possa dire che vivo in modo 'diverso'. In due parole lavoro un po’ di meno e 'vivo' un po’ di più: tutto qui. Per me ora è tutto normale, ma se qualcuno mi avesse detto cinque anni fa che sarei arrivato a questo punto avrei faticato molto a credergli. Cosa vuoi rispondere a chi dice che vivere fuori dagli schemi è un privilegio per pochi eletti? Che se pensa in questa maniera, avrà certamente ragione. La reazione tipica cui mi trovo di fronte quando racconto che cosa faccio è: “Beato te che puoi permettertelo...” Ma non è esattamente così. Non è che io possa permettermelo e altri no; tutti possono farlo, ma devono decidere di volerlo per sé. Tu eri e/o sei ricco? No. La famiglia da cui provengo ha avuto una vita 'normale'. Il mio lavoro di adesso mantiene una famiglia di quattro persone (mia moglie e le bambine, oltre a me); con fatica, a volte, e anche con l’aiuto dei miei genitori in qualche caso. Sono fortunato, certo; ricco, no. Ti definisci (nell’ordine) papà, golfista, imprenditore e blogger. Ci vuoi spiegare cosa ti danno questi 4 'ruoli'? Papà è il senso di completezza della vita, l’idea che sopravvivrò anche dopo la morte. Golfista è il superamento dei miei limiti, la gioia di una conquista. Imprenditore è la sensazione delle cose fatte bene, l’aiutare gli altri avendone sostentamento e gratificazioni in cambio. Blogger è l’espressione di un mio talento. Il golf non è uno sport da 'ricconi'? Questa è la percezione che se ne ha dall’esterno, e ha un fondo di verità. Conosco però delle realtà dove si può giocare con 800 euro l’anno, ovvero il costo di una palestra e di tanti altri sport. Dipende, quindi. Personalmente dedico al golf tante energie e quindi i costi sono molto più alti (intorno ai 5mila euro l’anno), anche perché ho l’obiettivo di diventare professionista entro il prossimo anno. E non è uno sport 'poco ecologico'? Per un parere motivato bisognerebbe chiedere a un esperto, ma ecco quello che so. Il golf ha in questo senso una doppia faccia, perché da un lato preserva grandi aree verdi, parchi eccetera; dall’altra utilizza fertilizzanti e pesticidi che sono tossici. Senza contare il fatto che impiega grandi quantità di acqua; e sappiamo bene che l’acqua sarà il vero, grosso e principale problema che lasceremo in eredità alla generazione dopo la nostra. Ma è logico che un uso attento dell’acqua – per esempio attraverso il riciclo – e l’impiego di sostanze il più possibili naturali possono attenuare (e di molto) il problema. Quindi non credo che si possa definire 'poco ecologico'; anche se, ripeto, un’opinione informata può venire solo da un esperto. Ad un certo punto, nel tuo libro, scrivi che più che lavorare contro i nostri limiti, dovremmo lavorare a favore delle nostre qualità. Vuoi spiegarci meglio questo concetto? Sì, nel libro ricordo una frase di Cesare Pavese, “si chiama destino”. Ovvero: è sostanzialmente inutile perdere tempo a cercare di correggere i propri difetti, mentre appare molto più sensato valorizzare i propri punti di forza. Questo si spiega perché ci possiamo intestardire quanto vogliamo a cercare di curare una nostra debolezza, ma alla meglio dopo anni di sforzi saremo passati da “disastroso” ad “appena sufficiente”. Invece i benefici potenziali derivanti dall’investire il medesimo tempo nello sfruttare e nel cercare di perfezionare un talento naturale che possiamo avere possono semplificare, arricchire e migliorare la nostra vita. Il punto è che i comportamenti si possono cambiare, ma le attitudini e le predisposizioni no, o comunque molto poco. È molto efficace compiere un’analisi brutale su se stessi per capire quali sono le proprie doti, ciò che veramente sia noi che gli altri apprezziamo di noi medesimi: e poi fare in maniera di valorizzare al massimo quei punti, perché quelli sono i nostri veri tesori. Non credi che tra quelli che dicono di voler cambiare vita, siano pochi quelli veramente disposti a farlo? Certamente sì. Anche nel libro ribadisco spesso un concetto che considero fondamentale, ovvero che il cambiamento è possibile per chiunque, ma richiede alcune condizioni: - del tempo (va pianificato e pensato per bene); - una visione (dove voglio andare); - soprattutto, che si decida di cambiare. E la nostra natura è avversa al cambiamento, e dunque tanti di noi possono anche avere un’idea vaga di voler cambiare la propria condizione, ma ciò comporta un uscire dal proprio guscio. E spaventa. E quindi in troppi casi non succederà. Purtroppo. Quali sono le più grandi difficoltà nel vivere 'scollocati'? Personalmente non vedo grosse difficoltà. Ogni tanto mi imbatto nell’invidia o nell’incredulità di alcune persone, ma ho imparato ad accettarlo come un fatto normale. La tua compagna e i tuoi figli condividono le tue scelte di vita? Sì. Credo che la nostra famiglia sia comunque 'tradizionale' in molti sensi; e poi per loro questa presunta diversità è di fatto normale. La semplicità, che tu ritieni fondamentale, si può davvero praticare o è una chimera? Assolutamente si può praticare; mi spingerei addirittura a dire che si dovrebbe praticare, perché i vantaggi che se ne hanno in cambio sono enormi. Come si fa a capire quali sono le nostre vere priorità? Non credo che ci sia una via particolare, né una ricetta valida a livello universale. Direi che occorre partire dall’analisi di sé, dai propri punti di forza e di debolezza, pensare a ruota libera; scrivere soprattutto, scrivere di sé, prendere appunti e col tempo crearsi una sorta di 'piano di vita'. E poi, naturalmente, applicarlo. Essendo pronti a deviare quando è il caso, ma a partire da una 'mappa' che esiste. Nel tuo libro proponi alcune leggi. Le “leggi di Davico”. In queste affermi che la vera ricchezza è il tempo libero e che per ottenere la libertà bisogna mettersi in proprio. Perché? Premetto che queste 'leggi' sono date soprattutto con intento provocatorio, ovvero hanno lo scopo di far riflettere. Detto questo, la vera ricchezza è il tempo che abbiamo a disposizione: perché a cosa serve avere tanti soldi se dobbiamo rimanere in ufficio tutti i giorni fino alle 8 di sera? Se perdiamo le recite dei nostri figli, se non ci godiamo una vacanza prolungata e così via? Ovviamente il denaro è importante, perché con la pancia vuota non si ragiona bene, ma non può essere l’obiettivo di una vita. O, detto diversamente: siamo proprio sicuri di aver bisogno dell’ultimo modello di auto, di videocamera, di smartphone? Per ottenere la libertà bisogna mettersi in proprio: perché il vero rischio, soprattutto oggi (ma direi in qualunque momento storico), è quello di essere alle dipendenze di qualcuno, soggetti alla volontà e ai capricci di altre persone. È una sicurezza illusoria, e i guadagni non sono paragonabili a quelli di chi lavora per conto proprio. Il 90% dei professionisti è davvero formato da 'zucconi'? Anche questa è una provocazione. Però, alla fine dei conti la distinzione è tra chi anticipa gli eventi, in qualche maniera li provoca, e chi li subisce e segue quindi la corrente. Tu inviti alla felicità. Credi davvero che la felicità possa essere costante o è fatta solo di frammenti? E tu ti ritieni felice? Per me la felicità è uno stato continuativo, e deriva in parole povere dalla decisione di essere felice. Alla fine siamo sempre noi il nostro motore, causa del nostro bene come del nostro male. E sì, io mi ritengo molto felice.

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