di
Elisa Magrì
18-04-2011
Brutalmente ucciso da cellule jihadiste 'impazzite' lo scorso 14 Aprile, Vittorio Arrigoni è oggi ricordato in tutto il mondo come operatore di pace. Attivista di lunga data, l'uomo che "in più di dieci anni ha fatto del viaggio una università di vita", dall'Europa dell'Est all'Africa, già prigioniero di Israele, dal 2008 osava raccontare il genocidio in atto a Gaza contro l'indifferenza della comunità internazionale.
“L'utopia è come una bella donna all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e la bella donna si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai la raggiungerò. A cosa serve l'utopia? Serve a questo: a camminare, ad andare avanti”.
Sono le parole di Kurt Vonnegut, autore di Mattatoio n.5, libro che Vittorio Arrigoni cita per la prima volta nel suo blog, Guerrilla Radio, il 6 Gennaio 2008, pochi mesi prima di partire per Gaza per prendere parte alla missione Free Gaza Movement.
In realtà, per molti versi, quello di Arrigoni era un ritorno, perché era già stato a Gerusalemme Est nel 2003 come volontario dell' IPYL (International Palestinian Youth League), nella stessa esperienza in cui, purtroppo, perse la vita Angelo Frammartino. Al campo profughi di Balata Vittorio entra in contatto con gli attivisti dell' ISM (International Solidarity Movement), e dopo averli visti all'opera, si convince subito della necessità di “attuare le migliori azioni di interposizione non violenta, nel tentativo di frenare i ripetuti massacri dell'esercito israeliano ai danni dei civili, per lo più bambini”, come egli stesso racconta.
Aveva già conosciuto, in dieci anni di viaggi fra l'Europa dell'Est e l'Africa (Togo, Ghana, Tanzania, Congo), “il risveglio dal torpore dello spirito”, ma non poteva rassegnarsi al “lento, ma costante genocidio” di cui sono vittime i palestinesi della Striscia di Gaza, sotto embargo israeliano dal 2006.
In Palestina Vittorio ritornerà altre due volte, finché la sua testimonianza, come quella di altri giovani attivisti quali Rachel Corrie, non diventa scomoda per Israele, che lo deporta e imprigiona. Invece Rachel Corrie, volontaria statunitense di 23 anni, verrà brutalmente uccisa dall'assalto di una ruspa, mentre cercava di evitare la demolizione dell'abitazione di un medico palestinese nella striscia di Gaza.
Nelle sue ultime lettere Rachel Corrie scriveva: “Sono preoccupata per il lavoro che svolgo. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla sua terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio”.
Per chi la vive dall'interno, la situazione nella striscia di Gaza non muta neppure dopo il 2005, quando Israele annuncia lo smantellamento delle sue colonie nella lingua di terra al confine con l'Egitto. Vittorio, costretto a rimpatriare, seguiva da lontano, attraverso i suoi molti contatti con la popolazione locale, lo svolgersi degli avvenimenti a Gaza, sostenendo “la causa palestinese, questione morale del nostro tempo, nei modi e nei canoni consentiti dal mio pacifismo” (5 Maggio 2008). Risale a questo intervento la prima apparizione del famoso motto: “stay human, restiamo umani”.
Il 3 Luglio 2008 condannando l'aggressione da parte di ufficiali israeliani del giornalista ventiquattrenne Mohammed Omer, corrispondente da Gaza del Washington Report on Middle East Affaire, Vittorio registrava: “Israele aggredisce, interroga, perquisisce e umilia persone in transito di ogni età – uomini e donne scelti casualmente – e molto spesso impedisce loro di oltrepassare i confini sotto il controllo israeliano e di raggiungere le loro abitazioni nella striscia di Gaza e nella West Bank.
Di queste persone non possiamo ascoltare la voce. Israele semplicemente non vuole che la voce dei palestinesi venga ascoltata all’estero. Ai palestinesi viene impedito di accettare inviti a parlare in Europa e in Nord America. Agli studenti in possesso di borse di studio per università estere viene impedito di partire. E a quei palestinesi che sono riusciti ad andare a lavorare o studiare all’estero Israele impedisce ora di tornare in patria, anche solo per una breve visita”.
Malgrado questo, anzi, proprio per questo, il 10 Luglio 2008 Vittorio annuncia la partenza per Gaza. Niente eroismi, nessun tipo di velleitarismo: come sempre, anche stavolta lo scopo è quello di rispondere concretamente ad un'urgenza che non ci si può permettere di trascurare.
Quando parte “per lenire la catastrofe innaturale di Gaza”, nell'estate del 2008, Arrigoni è in compagnia di “docenti del dolore”, come Hedy Epstein, ebrea 84enne sopravvissuta all'Olocausto ed è appoggiato dai premi Nobel per la Pace Desmond Tutu, Jimmy Carter e Mairead Maguire.
Le imbarcazioni (o “bagnarole”, come affettuosamente le definiva Vittorio) che sbarcano a Gaza portano con sé aiuti umanitari e contano di portare verso Cipro, sulla via del ritorno, i malati bisognosi di cure immediate. Sono le prime navi internazionali dal 1967, ma gli attivisti subiscono pestaggi da parte dei soldati israeliani nel porto di Ashdod, e poi nelle varie carceri dove vengono deportati. Hedy Epstein, coinvolta in tutti i viaggi del Free Gaza Movement, non ha ancora potuto coronare il suo sogno: visitare la Striscia prima di morire.
Il 17 Settembre Arrigoni viene colpito da una nave israeliana mentre accompagnava, come faceva regolarmente dal suo arrivo a Gaza, i pescatori al lavoro. Le restrizioni imposte da Israele sulla libertà di pesca si fanno sempre più pesanti: oltre tre miglia dalla costa si va incontro ai proiettili dei cecchini, malgrado le disposizioni internazionali stabilissero diversamente e 40.000 persone a Gaza vivano di questa sola attività. Gli attivisti internazionali decidono di filmare quanto si svolge a mare aperto, e così il blog di Arrigoni diventa un prezioso canale per il monitoraggio e la circolazione di documenti, filmati e testimonianze.
A partire dal Dicembre 2008 gli articoli che Vittorio scrive per Il Manifesto e Peacereporter raccontano l'inferno. Si tratta del lancio dell'operazione 'Piombo Fuso' da parte delle truppe armate israeliane, con lo scopo di neutralizzare Hamas bersagliando i civili senza lesinare fosforo bianco.
Arrigoni annota, ostinato e contrario, le tappe della sua personale mappa per l'inferno: “Sono stato testimone oculare in questi giorni di bombardamenti di moschee, scuole, università, ospedali, mercati, e decine e decine di edifici civili. Il direttore medico dell'ospedale di Al Shifa mi ha confermato di aver ricevuto telefonate da esponenti dell'IDF, l'esercito israeliano, che gli intimavano di evacuare all'istante l'ospedale, pena una pioggia di missili”.
E ancora: “Quando le bombe cadono dal cielo da diecimila metri di quota state tranquilli, non fanno distinzioni fra bandiere di Hamas o Fatah esposte sui davanzali, non hanno ripensamenti esplosivi neanche se sei italiano. Non esistono operazioni militari chirurgiche, quando si mette a bombardare l'aviazione e la marina, le uniche operazioni chirurgiche sono quelle dei medici che amputano arti maciullate alle vittime senza un attimo di ripensamento, anche se spesso braccia e gambe sarebbero salvabili”.
Nell'assordante silenzio della comunità internazionale e dei grandi mezzi di informazione, le foto e i racconti di Vittorio Arrigoni sono agghiaccianti: corpi mutilati, feriti, cadaveri, e sono soprattutto resti di bambini. Il rapporto ONU del magistrato ebreo Goldstone sarà una conferma ufficiale della testimonianza di Arrigoni: il documento condanna, infatti, tanto Israele quanto Hamas di crimini di guerra, e sottolinea come l'offensiva israeliana fosse un attacco deliberatamente “sproporzionato, finalizzato ad umiliare e terrorizzare la popolazione civile”.
Ma Arrigoni documenta anche altro, racconta: “Come me, la stragrande maggioranza dei palestinesi, non crede che la miglior risposta all'occupazione israeliana e a questo massacro in corso siano gli attentati, i 'kamikaze' e i 'razzi'. Il boicottaggio è pacifista, non violento, la migliore risposta umanamente accettabile, all'imbarbarimento di un conflitto che rende disumano ogni gesto. La migliore arma nell'arsenale della non violenza, come ci ha ricordato Naomi Klein in un recente editoriale sul Guardian”.
I reportages di Arrigoni diventano un libro, tradotto in diverse lingue, ma anche dopo l'ufficiale chiusura della campagna militare israeliana, il giornalista denuncia che “a Gaza il piombo non è più fuso, ma continua a piombarci addosso ad intervalli regolari”. Arrigoni protesta contro le violazioni perpetrate da Israele nei confronti del diritto internazionale, documenta le angherie dei prigionieri nelle carceri israeliane, si scaglia contro il sistema di disinformazione europeo, anche quando si tratta di personaggi, come Roberto Saviano, che egli stesso, nella sua nota autobiografica, dichiarava di leggere e seguire.
Quando è stato rapito, Arrigoni si preparava ad accogliere l'arrivo della Freedom Flotilla 2, la grande impresa di solidarietà internazionale ai palestinesi della Striscia di Gaza, pronta a partire per la fine di Maggio 2011.
L'obiettivo è quello di raggiungere Gaza via mare per portare aiuti umanitari alla popolazione civile e chiedere l'immediata cessazione dell'assedio illegale di Gaza e dell'occupazione illegale dei territori palestinesi. Lo scorso anno, a Giugno, la Freedom Flotilla fu bloccata da corpi speciali israeliani, che causarono la morte di 9 civili. Per la flotilla in partenza, quest'anno dedicata alla memoria di Arrigoni, Nethanyau sta già prendendo provvedimenti e l'allarme era alto già lo scorso 4 Aprile, quando è stato assassinato nella West Bank Juliano Mer-Khamis, artista arabo-israeliano e attivista della causa palestinese, fondatore del Freedom Theatre, il teatro della dimostrazione pacifica.
Sono i segnali delle nuove tensioni per la repressione in Palestina, ma non mancano le voci che resistono e invocano il cambiamento: Vittorio era vicino ai ragazzi autori del Manifesto dei Giovani di Gaza per il cambiamento (GYBO). A chi gli chiedeva se li conoscesse, lui rispondeva: “Certo che li conosco. Sono la stragrande maggioranza degli under 25 che a Gaza incontri nei caffè, al di fuori dell’università, per strada con le mani nelle saccocce vuote di soldi, di impieghi, di prospettive per l’avvenire, ma gonfie di lutto e rabbia sottaciuta. Che adesso hanno manifestato.
Si chiamano Ahmed, Mahmoud, Mustafa, Yara, ma potrebbero essere i nostri Giovanni, Paolo, Antonio, Elisabetta che in queste settimane hanno combattuto pacificamente nelle piazze italiane, con le armi della consapevolezza, quella lotta persa dai padri per resa”. Cambiamento, per i giovani palestinesi in quella “prigione a cielo aperto” che è Gaza, significa libertà di manifestare pacificamente (contro le repressioni effettuate dalla polizia di Gaza nel Marzo di quest'anno), la fine delle divisioni interne e la libertà dall'oppressione israeliana.
Per i palestinesi Vittorio non era un free-lance, un inviato di guerra o un giornalista, ma uno di loro. Hamas lo ritiene un “martire” della Palestina, ha chiesto ufficialmente scusa all'Italia e fa sapere che sono state arrestate diverse persone, tre delle quali sono direttamente coinvolte nell'assassinio, appartenenti a cellule salafite filo Al Qaida, fuoriuscite dal gruppo armato di Hamas nel 2009 e operanti in modo minoritario, ma indipendente, nella Striscia.
Oggi che Vik Utopia Arrigoni, come amava firmarsi, desta la commozione di tutto il mondo, delle organizzazioni internazionali e non, di politici, attivisti e singoli - mentre a Gaza lo hanno salutato come autentico cittadino palestinese, coraggioso, lungimirante e pieno di speranza - il modo migliore di ricordarlo è dichiarare, come ha fatto la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, che: “È arrivato il momento che la questione palestinese e l’assedio di Gaza arrivino a sensibilizzare l’intera opinione pubblica in modo che non siano presentate strumentalmente come problematiche trattate solo da frange politiche estreme. È arrivato il momento che la coscienza collettiva maturi in proposito la giusta consapevolezza e dall’Italia si diffonda, perché no, una più globale mobilitazione a livello internazionale, partendo dall’urgenza sempre più evidente che una simile tematica entri nel dibattito politico democratico ad ogni livello”.
Una volta Pier Paolo Pasolini scrisse:
Parlo da utopista, lo so. Ma o essere utopisti o sparire.
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