"L'ambientalista medio ha maturato un notevole grado di sensibilità verso cose come l'efficienza energetica, la gestione dei rifiuti, il riuso, il non consumismo, ma ciò non è vero per le scelte alimentari che risultano quasi sempre molto prossime alla convenzionalità". Perché l'argomento alimentazione è il 'grande assente' nelle regole del buon vivere sostenibile?
Nella prima parte di questo articolo abbiamo analizzato un elenco di diciotto regole del buon vivere sostenibile e abbiamo visto come l’assenza dell’argomento alimentazione – e in particolare dell’alimentazione basata sui cibi vegetali - sia in contrasto con la realtà, la quale impone di dare a questo argomento un’importanza primaria. Constatato che tale assenza è generalizzata nella cultura ambientalista, vediamo di capire quali meccanismi generino questo atteggiamento apparentemente paradossale.
Dobbiamo innanzi tutto dire che le diciotto regole che sono state il punto di avvio della prima parte sono state pubblicate sul proprio blog da una persona (chiamiamola A) impegnata nel campo della sostenibilità ambientale e diffuse via mail da un’altra persona (chiamiamola B) anch’essa impegnata in questo campo. Ho inviato a entrambi quel mio testo.
È interessante estrapolare dalle loro risposte quanto segue. B mi fa notare che nel commentare l’elenco dei suoi diciotto punti A “dice di avere aumentato a dismisura il consumo di frutta e verdura” e che “nella sua biografia, dice di essere vegano dal 2003”. Egli aggiunge inoltre di provare una antipatia “a livello epidermico nei confronti di coloro che guidano un SUV” e che gli “viene difficile perdonarli se vegetariani”.
A da parte sua nota che “bisogna mettere sul tavolo della discussione l'argomento alimentazione e discutere le evidenze che dovrebbero convincere ad una scelta vegetariana/vegana”. E aggiunge che “le etichette essere vegani o vegetariani, oppure decrescenti felici, agli occhi di chi non conosce il percorso di crescita da cui nascono ci rendono tifosi... vegani o juventini, interisti, ecc”.
Perché dunque A, pur convinto della necessità di parlare di questo tema al punto di averlo fatto proprio nelle sue stesse scelte alimentari, al momento di parlare ad altri di stili di vita sostenibili lo ha omesso?
Il discorso parte da lontano. Dallo scorso anno mi occupo in maniera particolare del problema dell'alimentazione e una delle cose più importanti che ho imparato è che le scelte alimentari non sono soltanto un problema 'tecnico-biologico' ma anche e soprattutto socioculturale. L'uomo è un animale sociale e come tale vive immerso in un gruppo di suoi simili.
Ogni gruppo è caratterizzato da un insieme di regole di comportamento che formano il suo modello di cultura ovvero la sua visione del mondo. Seguire o non seguire queste regole significa dichiarare pubblicamente la propria appartenenza o non appartenenza al gruppo. Fanno parte di tali regole il modo di vestirsi, di parlare, la musica che si ascolta, il tipo di 'intrattenimenti' e molte altre cose. Fra esse un posto non trascurabile occupa il modo di mangiare.
Roland Barthes parla esplicitamente delle scelte alimentari come di un modo di comunicare.
Mutare le proprie scelte alimentari dunque è una dichiarazione di mutamento della propria condizione di appartenenza al gruppo sociale in cui si è immersi. Ora attenzione, perché qui entriamo nel vivo del problema: il fare proprio un modello di cultura non è mai un'azione razionale ma avviene a livelli profondi della nostra psiche e bypassa le nostre capacità di analisi critica.
Lévi-Strauss, che ha studiato a fondo questi meccanismi, dice che un modello di cultura per essere accettato dai membri del gruppo non ha bisogno di essere coerente col mondo esterno. Ciò avviene, a livello individuale, attraverso quella inquietante capacità della mente umana che è il processo di rimozione ovvero la cancellazione, il non vedere, tutto ciò che è in contrasto con la 'verità' rappresentata dal modello di cultura del gruppo sociale in cui ci si identifica.
Vediamo ora di interpretare, alla luce di ciò, quel che ha scritto, e non scritto A. Premetto che qui poco importa che i diciotto punti presenti nel suo elenco siano interpretabili come regole generali o siano semplicemente il resoconto di proprie scelte individuali. Importa che quanto egli ha scritto è un atto di comunicazione rivolto da un individuo ad un gruppo sociale. Ora, cosa ho fatto io nella prima parte di questo articolo? Ho sottoposto le indicazioni di A ad una verifica di coerenza esterna la quale mostra che tale coerenza non c'è.
Non mi era sfuggito che nel commentare l’elenco dei diciotto punti A accenna ai propri notevoli consumi di vegetali ma proprio la collocazione defilata di questa informazione, data per di più su un tono faceto che di fatto la 'sdrammatizza', mi ha dato da riflettere: è un'indicazione che, a lume di ragione, è da mettere al primo posto e invece qui viene data quasi di soppiatto. Perché? Il fatto poi che A si sia orientato in prima persona verso una scelta alimentare totalmente basata sui vegetali rende ancora più interessante questa domanda.
Dunque vediamo: A è una persona razionalmente consapevole dell'importanza di un'alimentazione basata sui vegetali. Tuttavia nel momento di rivolgersi al gruppo sociale in cui si identifica mette in ombra questa sua consapevolezza. Apparentemente non ha senso. Possiamo però trovare una spiegazione nella fisionomia di tale gruppo. Benché il blog di A sia teoricamente leggibile da tutti è facile immaginare che esso sia prevalentemente letto da ambientalisti attenti ai temi della sostenibilità ambientale o comunque è letto anche da loro.
Un punto importante è che ogni atto di comunicazione si rivolge innanzi tutto ai membri del proprio gruppo e mira, sia pur inconsciamente, ad ottenere la loro approvazione. Ora, come sappiamo, l'ambientalista medio ha maturato un notevole grado di sensibilità verso cose come l'efficienza energetica, la gestione dei rifiuti, il riuso, il non consumismo, ma ciò non è vero per le scelte alimentari che risultano quasi sempre molto prossime alla convenzionalità.
L'alimentazione basata sui vegetali in altre parole non fa parte dei modelli di comportamento che definiscono l'appartenenza al gruppo sociale denominato “movimento ambientalista”. Introdurre nell'elenco numerato delle indicazioni per una buona decrescita individuale anche l'elemento 'alimentazione vegetale' significava dunque introdurre un elemento estraneo a quelli che definiscono l'identità di gruppo e dunque dichiarare in qualche modo una sorta di propria difformità da esso.
Sospetto che A abbia un certo grado di 'inconsapevole consapevolezza' di tutto ciò poiché nel rispondermi ha parlato di 'etichette che ci rendono tifosi', le quali altro non sono che le identità di gruppo. Purtroppo, proprio a causa dei livelli profondi ai quali questi meccanismi agiscono nella nostra psiche, è difficilissimo riconoscerli quando agiscono in noi. Ogni atto di rimozione non è mai una scelta deliberata, avviene senza che noi ci accorgiamo che sta avvenendo. Così è accaduto ad A nell'impostare il suo elenco, così accade a B ogni volta che prova antipatia "a livello epidermico" davanti a coloro che guidano un SUV (comportamento insostenibile e che viola l'identità di gruppo ambientalista) ma non davanti a chi mangia carne (comportamento ancor più insostenibile ma che non viola l'identità di gruppo).
Tutto ciò spiega perché il mutamento in teoria di più facile attuazione nei nostri stili di vita risulta in realtà fra i più difficili. Come superare questo ostacolo è il più grosso fra i problemi che chi si occupa di sostenibilità alimentare deve affrontare.
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