Data la risposta ottenuta lo scorso giugno dalla Commissione europea, come pensate di proseguire nella vostra iniziativa di sensibilizzazione contro la vivisezione?
Una risposta concreta alle 10 richieste da noi fatte con l'Iniziativa SV alla Commissione UE sarebbe stata certamente più gradita della "non-risposta" dataci, e ci avrebbe portato un passo più avanti nel percorso ormai avviato in tutto il mondo verso l'abolizione della sperimentazione animale. Ma anche il sostanziale silenzio della Commissione ci aiuta. Con il suo comportamento fortemente scorretto essa ci pemette di rilanciare la nostra campagna Stop Vivisection con una protesta fondata sui tanti argomenti forse a voi già noti. Vi ricordo qui soltanto una serie di vistose contraddizioni:
1) Accettando inizialmente il nostro quesito, la Commissione ci fece intraprendere circa 4 anni fa un difficile e laborioso percorso durato 3 anni. Vi furono 39 ICE, Iniziative dei Cittadini, presentate nei primi 3 anni di operatività del nuovo "Diritto d'iniziativa dei cittadini europei" (noi fummo tra le prime 10). 20 furono rifiutate alla registrazione, delle 19 rimaste,16 non sono riuscite a completare il percorso. Solo 3 hanno completato tutta la procedura, inclusa la raccolta di oltre un milione di firme, fino all'audizione pubblica in Parlamento e a quella a porte chiuse con la Commissione. Ultimo atto conclusivo dopo un altro mese: la risposta ufficiale della Commissione. Per una delle 3 Iniziative "vincenti" la risposta è stata un chiaro NO. Per le altre 2, tra le quali Stop Vivisection, la risposta è stata un mezzo NI che al dunque si stava traducendo in un NO. Le promesse della Commissione erano state dunque parole vuote. A differenza di quanto auspicato da noi tutti, a differenza da quanto promesso dai vertici della UE, non saranno le ICE (in inglese ECI) a far crescere la fiducia dei cittadini nei confronti della Commissione e della UE.
2) Ogni volta che il nostro movimento antivivisezionista scientifico ha dovuto confrontarsi con i suoi oppositori (persone legate al mondo della scienza o a quello dell'industria, purtroppo oggi entrambi inquinati da interessi economici privati) ai nostri argomenti scientifici non veniva data risposta e il dibattito veniva spostato all'istante sul territorio dell'etica ("per salvare i topi volete immolare i bambini": accusa facile ma falsa). Lo stesso è avvenuto con la risposta della UE: nessuna risposta all'immenso dossier di testi scientifici portati per dimostrare che la tutela delle scienza e quella degli animali vanno nella stessa identica direzione. Invece di una solida argomentazione scientifica una continua (e anche falsa) autodifesa sul fronte dell'etica, basata sulla continua citazione e sulla programmata applicazione delle cosiddette 3R (ovvero del presunto benessere dell'animale nei laboratori).
3) Il pretesto è che non esistono i metodi "sostitutivi" della sperimentazione animale in numero sufficiente e che dunque si è ancora costretti ad usare gli animali.
Questa la nostra risposta:
1) In primo luogo è meglio non usare nulla piuttosto che un metodo di ricerca che ci porta fuori strada.
2) In secondo luogo i metodi sostitutivi non verranno mai approvati se non saranno finanziati in modo adeguato e se, una volta riconosciuti validi, non saranno resi obbligatori per legge. Oggi in Italia, nella ricerca biomedica, 98% dei finanziamenti dello Stato vanno alla sperimentazione animale e il 2% ai metodi senza animali. Purtroppo anche nel caso del regolamento europeo REACH (valutazione di tossicità delle sostanze chimiche immesse nell'ambiente, che prescrive l'uso dei metodi sostitutivi ove essi siano stati approvati) questa norma non viene mai applicata. La realtà è che per i produttori (che sono responsabili della ricerca è assai preferibile attenersi all'uso del "modello animale": esso consente di dimostrare l'innocuità di ogni loro prodotto, con la semplice scelta della specie o del ceppo dell'animale. Essa consente anche, grazie alla "incertezza della prova", di aggirare ogni condanna di responsabilità civile nei casi di gravi danni all'uomo.
Come pensate dunque di agire e di far pesare il grande consenso ottenuto?
Pensiamo di agire continuando nel lavoro di informazione che abbiamo intrapreso, a tutti i livelli. Vi sono stati attivisti eccezionali in alcuni stati membri e abbiamo l'intenzione di costituire dei comitati permanenti, che possano organizzare eventi e seminari. L'obiettivo è una conferenza di lunga durata che metta a confronto le diverse opinioni scientifiche: i pro e i contro. Noi siamo certi di vincere. Per questo vorremmo che fosse organizzato un giurì di scienziati totalmente indipendenti (i cui curricula verranno attentamente studiati), che, come proponeva Ray Greek all'audizione dell'11 maggio dell'anno scorso, emetta un giudizio finale. Inizieremo con un ricorso presso il Mediatore Europeo (pratica abbastanza facile) nel quale esporremo le ragioni del nostro scontento. Ci è stato consigliato di inviare la protesta in primo luogo alla Commissione stessa, affinché essa possa essere recepita dal Mediatore. Questo è stato fatto già nel mese di settembre e la risposta che ci è giunta dal vice-presidente Katanien ha già aperto uno spiraglio: egli ha fatto cenno ad una nostra partecipazione alla conferenza che a fine anno egli intende organizzare a Bruxelles sul tema della sperimentazione animale. Sarà molto difficile che questa conferenza proposta dalla UE possa essere quella che noi ci siamo prefissi, ma noi non escludiamo l'ipotesi di parteciparvi se ci viene data una "par condicio". La trattativa è in corso e nel frattempo speriamo che in tutti gli Stati della Ue vi siano iniziative a sostegno di SV, iniziative come quella che a Roma abbiamo organizzato nella Sala dei Gruppi parlamentari della Camera, il 14 marzo scorso per il lancio di una nostra petizione. La nostra petizione raccoglie le firme da apporre ad un emendamento della legge di stabilità, in cui siintroduca un notevole aumento dei finanziamenti per la ricerca biomedica senza animali in Italia. Ogni cittadino europeo dovrà trovare il modo di attivarsi, ma noi cercheremo di tenere tutti collegati. Ci servono fondi per questo e speriamo di riuscire a mettere in piedi una raccolta. Così come una buona propaganda è già partita all'interno del Parlamento UE per raccogliere firme dei deputati di tutte le correnti solidali con noi.
Proseguite con altre mobilitazioni?
Certamente proseguiremo anche con altre mobilitazioni e per questo lanciamo sin d'ora un appello per creare un fondo cassa. Chiediamo a tutti di aiutarci.
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Questo riporta l'attenzione sul tema della effettiva necessità di una sperimentazione animale e sul tema dei metodi di sperimentazione alternativi. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Michela Kuan, biologa e responsabile nazionale dell'Area Ricerca senza animali della LAV, Lega AntiVivisezione.
Quali sono i metodi alternativi alla sperimentazione animale e in che percentuale vengono utilizzati in Italia e nel mondo?
I metodi alternativi più famosi sono quelli in vitro. Si tratta della ricostruzione su un terreno di coltura di cellule e tessuti umani che vengono fatti proliferare. E' molto importante perché in questo caso abbiamo una specie-specificità, cioè si utilizzano tessuti umani per testare tossicità o altre sostanze destinate all'uomo. Questi tessuti possono essere fatti proliferare costruendo addirittura dei piccoli organi. È una nuova frontiera della ricerca: la produzione di organi che simulano ad esempio il cuore, i reni, i polmoni, il fegato, il tessuto osseo, il tessuto muscolare, l'epidermide, che simulano, quindi, l'uomo in un sistema semplificato. Se uso un coniglio, invece, uso un sistema ugualmente complesso ma diversamente complesso dall'uomo per genetica, fisiologia, risposta immunitaria, risposta intercellulare e moltissime altre variabili spesso anche concatenate. Se utilizzo colture di origine umana, invece, i dati diventano attendibili perché noi siamo umani. Questo apre poi frontiere di studio su tessuti prelevati dallo stesso paziente. Si preleva, cioè, dal paziente ammalato e si studia sul suo tessuto specifico che ovviamente è compatibile al cento per cento, superando così problemi di rigetto o virus silenti. A parte la sperimentazione in vitro, esistono le simulazioni al computer molto usate negli studi di tossicità e quindi l'interazione tra le molecole e i tessuti bersaglio. Tutto quello che riguarda la genetica cioè il DNA o organ on a chip, cioè la ricostruzione di organi su piccoli microchip che messi in un sistema creano un dato che viene interpolato per dare risultati su un intero organismo. Ci sono, inoltre, tutti i metodi che sono nell'ambito della didattica: simulazioni, ricostruzioni, modelli. Pensiamo che ancora adesso l'anatomia viene insegnata, incredibilmente, usando un maiale (anestetizzato nella maggioranza dei casi ma non sempre), che viene aperto per andare a vedere ciò che c'è dentro. Questo è un sistema ottocentesco perché è impensabile che oggi si ricorra ancora a questo quando esistono modelli veterinari e umani che riproducono perfettamente tutte le patologie dell'animale o dell'uomo. Il chirurgo che si allena sulla cotenna di maiale ha una mano e una forza completamente diversa rispetto a chi deve poi operare esseri umani. Esistono risvolti che non sono soltanto etici sull'animale ma anche sull'uomo. Per quanto riguarda la percentuale con cui vengono utilizzati i metodi alternativi, non ci sono dati precisi. A spanne, vengono utilizzati poco. L'industria cosmetica, però, ormai utilizza soltanto metodi alternativi grazie a una legge che vieta la sperimentazione animale per i cosmetici. Esiste la sperimentazione tossicologica in vitro che è sicuramente in grande espansione però, purtroppo, c'è ancora poca ricerca, soprattutto in Italia. In Nord Europa la situazione è diversa e loro sono i più innovativi e più competitivi nel campo della ricerca. In Italia abbiamo ricercatori, medici, professori universitari e di centri privati che scendono in piazza per difendere la sperimentazione animale. Questo è anacronistico perché i ricercatori stessi dovrebbero essere i primi a impegnarsi nel trovare un modello alternativo.
I sostenitori della sperimentazione animale affermano che i metodi alternativi non sono sicuri e che, essendo condotti in vitro, non possono essere affidabili perché non applicabili su un essere vivente nella sua complessità. Cosa ne pensa?
Il discorso è abbastanza complesso. I metodi alternativi non sono un'invenzione degli animalisti, non qualcosa che dice solo la LAV o chi vuole difendere i diritti degli animali, cosa ovviamente giustissima, ma sono scientificamente riconosciuti dal 1959. Come se non bastasse, sono stati fortemente voluti sia dal panorama legislativo internazionale, cioè dalla direttiva che regolamenta la sperimentazione animale, che dal decreto legislativo vigente, il 26 del 2014. Sostenere e difendere l'utilizzo degli animali come modello di ricerca è, quindi, sicuramente anacronistico ma anche completamente scorretto perché è la stessa legge che vede come totalmente prioritari i metodi di ricerca senza animali ed è lo stesso panorama scientifico che va a conferma dei metodi e dei modelli che devono essere utilizzati, che ha confermato il valore del modello alternativo dal 1959. Questo perché il metodo alternativo per poter essere utilizzato e diffuso subisce un processo di standardizzazione molto rigido che impiega anche più di dieci anni e che dà modo di mettere a frutto un protocollo scientifico che sia attendibile, rigoroso, oggettivo e applicabile in tutti i laboratori del mondo. Nessun modello animale ha queste caratteristiche. Nessun modello animale in secoli di storia ha mai subito un processo di validazione. E' molto importante mettere in evidenza questo perché, al di là di quello che i sostenitori della sperimentazione animale dicono sulla non attendibilità dei metodi alternativi, questo va contro la legge stessa. Il ricercatore di oggi deve avere la responsabilità e l'obbligo non solo morale ma scientifico, di investire nei metodi alternativi. Il problema di paragonare il modello in vitro all'animale nella sua complessità è assolutamente reale ma è un presupposto sbagliato. Fare un parallelismo tra una coltura in vitro e un coniglio o un cane è chiaro che non è corretto perché sicuramente le risposte saranno diverse. Il punto è che i dati che ottengo dalla sperimentazione su altre specie non servono assolutamente a nulla. E' sbagliato il presupposto secondo il quale si pretende di dire che fare sperimentazione su un coniglio o un cane dà maggiori risultati perché se quei risultati non sono attendibili o sono fuorvianti, non ho alcuna giustificazione scientifica per farli. Non è una cosa che dice la LAV ma la FDA sottolinea come la sperimentazione animale fallisca nell'oltre il 95 per cento de casi.
Molti ricercatori sono convinti che la vivisezione sia un male necessario a salvare vite. Che cosa risponde a questo?
L'uomo non è particolarmente plastico. Ci abbiamo messo secoli ad accettare, ad esempio, che la terra fosse rotonda. Per fortuna ci sono stati progressi nel campo dell'etica e nel trattato di Lisbona gli animali sono stati dichiarati esseri senzienti ma questo non basta perché gli animali sotto sperimentazione fanno capo a legislazioni specifiche che purtroppo non prevedono gli stessi diritti riservati ad altri animali. I cani da allevamento, per esempio, destinati ai laboratori vengono trattati in modo molto diverso dai cani che, invece, sono considerati da affezione.
Secondo lei la sperimentazione animale è diventata un business?
La vivisezione ha grandi pilastri che la sostengono: gli interessi economici, il fatto di lucrare sulla salute degli animali e degli uomini stessi, il paravento giuridico perché non dimentichiamo che sperimentare sugli animali dà modo di dimostrare che alcune sostanze sono innocue quando in realtà non lo sono affatto. Il fumo di sigaretta ne è un esempio classico. Il fumo di sigaretta è messo in commercio dalle grandi industrie del tabacco e nonostante ci fossero già numerosi casi di cancro al polmone questo non poteva essere dimostrato perché la sperimentazione animale aveva dato risultati negativi in questo senso. Gli animali sottoposti a sperimentazione, infatti, non avevano sviluppato quel tipo di patologia. Questo ha permesso alle industrie del tabacco di vincere per decenni e soltanto l'investigazione epidemiologica quindi un'investigazione che ha messo in rapporto l'insorgenza della malattia con l'esposizione a un parametro, in questo caso il fumo di sigaretta, ha dimostrato la pericolosità della sostanza. Di esempi simili ce ne sono moltissimi e non è sicuramente la LAV che ha reso pubblici degli scandali ma basta leggere i quotidiani e si vedrà che ci sono industrie farmaceutiche che vanno a testare i loro prodotti in paesi in via di sviluppo nel continente africano o in India e vedere gli effetti collaterali di queste azioni che portano spesso morte e compromettono la salute di molte persone, specialmente bambini. Dal punto di vista giuridico non c'è riscontro perché si tratta di paesi in cui purtroppo vince decisamente il denaro. Il paravento giuridico è un punto fondamentale del perché la vivisezione rimane in piedi. Questo è uno dei pilastri su cui si regge. Un altro punto importante è l'avanzamento di carriera. Sperimentare sugli animali significa avere sempre un risultato e quindi il ricercatore che ha fondi che gli vengono dati in base alle pubblicazioni fatte, se sperimenta su un cane, su un gatto o su un topo, trova comunque dei risultati. Il fatto che questi risultati non siano traslabili all'uomo è un problema successivo che spesso non si affronta neanche. Ci sono sperimentazioni che vanno avanti da 20 anni e che vengono costantemente riautorizzate nonostante non abbiano portato a nulla per l'uomo. Malgrado questo, gli articoli relativi a queste sperimentazioni vengono pubblicati su riviste scientifiche anche rinomate e di conseguenza vengono ottenuti altri fondi con successivi avanzamenti di carriera. Se si facessero direttamente i test non sull'uomo ma che abbiano come modello l'uomo, e se il risutato fosse negativo la sperimentazione verrebbe conclusa immediatamente.
Quanto margine di errore c’è nel trasporre i risultati ottenuti sugli animali alla salute umana? Gli esperimenti sugli animali possono essere ritenuti, cioè, utili e necessari per ottenere informazioni utili a valutare la sicurezza delle sostanze sull’uomo?
Il margine di errore è di oltre il 95 per cento e va dal preclinico al clinico cioè nella fase che va dal modello animale al modello umano e questo è deducibile per il fatto che tutto quello che viene testato sugli animali, e non sono solo farmaci ma anche composti chimici, alimenti, colle, coloranti, deve essere poi ritestato sull'uomo e questo è l'autogoal insito nella vivisezione. Se noi avessimo un modello attendibile come chi lo difende, passeremmo dai test sull'animale direttamente alla commercializzazione. Perché spendere miliardi nei test clinici oltre al fatto che ci sono anche grossi risvolti etici anche sulle cavie umane? Semplicemente perché il dato che ottengo dal modello animale è pericoloso e fuorviante. Non ci si può permettere di mettere in commercio qualcosa che può dare effetti collaterali o addirittura morte. Nonostante questo il 51 per cento dei farmaci messi in commercio, deve essere poi ritirato successivamente per gravi effetti collaterali non diagnosticati prima sugli animali sui quali era stata fatta la sperimentazione. Per gravi effetti collaterali si intende morte e invalidità permanente.
Ci sono paesi nel mondo in cui la sperimentazione animale non c'è?
Ci sono paesi in cui non si fa per ragioni economiche perché non hanno investito nella ricerca in generale.
Com'è la situazione in Europa?
I dati non sono pubblici. In senso negativo Francia e Germania hanno un numero altissimo di animali nei laboratori. In senso positivo l'Inghilterra ha linee guida e raccomandazioni sulle buone pratiche da laboratorio molto strette nel ricorso agli animali, con controlli molto rigidi, una valutazione del rapporto costo/benefici e del numero di animali che viene autorizzato molto rigida che in teoria esiste anche nel nostro paese ma rimane, in realtà, soltanto a livello di consigli e di linee guida senza alcun obbligo né verifica a posteriori. E' naturale, quindi, che anche se sulla carta tutto questo è positivo, non serve a nulla se non trova poi applicazione.
E in Italia?
La nuova normativa è entrata in vigore nel marzo 2014 e quindi i dati sono relativi agli ultimi due anni ma non sono ancora stati pubblicati. Dobbiamo ancora aspettare per capire meglio. Purtroppo sappiamo che i funzionari che dovrebbero fare i controlli sono davvero pochissimi. I comitati etici che dovrebbero vagliare i progetti, sono formati all'interno e quindi chi giudica è lo stesso che viene giudicato e questo fa cadere qualsiasi forma di trasparenza e di oggettività rispetto a quello che viene detto all'interno del protocollo. Inoltre le valutazioni a posteriori vengono fatte soltanto relativamente all'utilizzo dei primati e soltanto in una fase marginale del fenomeno vivisezione. Ancora peggio, i dati negativi delle ricerche svolte non vengono pubblicati e questo è un grande spreco perché tutti i dati negativi, anche se non sono un vanto per il ricercatore, dovrebbero essere classificati in una banca dati per almeno diminuire il numero degli animali utilizzati. Altrimenti si fanno sempre le stesse procedure e si ripetono gli stessi errori. È uno spreco di risorse. Si tratta di un sistema che è stato messo in piedi alla fine dell'ottocento e si è poi diffuso come prassi ma non ha una base scientifica. Se ci si volesse attenere a una pura base scientifica, si dovrebbe far riferimento all'uomo ma volendo, teoricamente, includere gli animali, avremmo i laboratori pieni di scimpanzé e sicuramente non di topi.
E i primati? Possono ancora essere usati per la sperimentazione?
I primati vengono ancora usati. Non si possono usare gli scimpanzè, gli oranghi, i gorilla e i bonobo, cioè quelli geneticamente più simili a noi e soltanto in Italia perché grazie alla LAV, dopo anni di battaglie siamo riusciti ad inserire criteri maggiormente restrittivi rispetto alla direttiva europea ma è un vanto soltanto italiano e recentissimo. Al momento i primati vengono importati da paesi come la Cina, la Cambogia, le Mauritius, il Brasile. Gli animali vengono catturati in natura, normalmente sono femmine giovani in modo che possano poi essere ingravidate, vengono portati poi in facilities che si trovano normalmente vicino agli aeroporti e imbarcati in scatole forate nelle quali viaggiano per decine di ore prima di arrivare nei laboratori. Vengono catalogati come merce deperibile e non come esseri viventi. Finiscono poi negli stabilimenti fornitori che provvedono ai trattamenti contro i potenziali rischi batteriologici e poi vengono distribuiti nei laboratori di tutta Europa.
Quali altri animali non si possono usare?
A parte gli ominidi che citavo prima il cui uso è vietato in Italia, si può usare tutto. Soprattutto vengono usati topi e ratti ma nulla vieta di usare lupi, cammelli, cani, gatti, zebre, marmotte, cavalli, conigli, uccelli. Se si tratta di invertebrati, non vengono addirittura neppure considerati animali e quindi statistiche e regolamentazione su di loro non ci sono.
Quali sono i prossimi passi della LAV?
La LAV al momento ha una petizione in atto che resterà aperta fino alla fine di ottobre. Chiediamo ai cittadini di firmare questa petizione che è caricata anche on line sul nostro sito www.lav.it per confermare il divieto di testare sugli animali le sostanze da abuso come alcol e tabacco. La nostra legge, in teoria, dal primo gennaio 2017 vede l'entrata in vigore di questo divieto e noi temiamo che rischi di slittare a data da definirsi mentre, almeno in questo ambito, è assolutamente dovuto muoversi. Qualunque cittadino può capire facilmente quanto la dipendenza sia un male prettamente umano. Non c'è alcuna necessità di fare ancora sperimentazioni su queste sostanze da abuso. Normalmente vengono utilizzate femmine in gravidanza per studiare gi effetti genotossici e malformanti sul feto. Poi questi animali vengono eviscerati per andare a studiare gli effetti tossici delle sostanze somministrate. Qui entra in gioco anche un'etica sull'uomo. Anche se si dimostrasse che sull'animale non ci sono effetti collaterali causati da alcol e altre sostanze da abuso durante la prima fase di gestazione, cosa si farebbe? Si pubblicizzerebbe o si incoraggerebbe l'uso di quelle sostanze nelle donne in gravidanza? La stessa cosa per quanto riguarda le droghe. Se si trovasse una pillola che cura la dipendenza da cocaina nel topo, premesso che la cosa non è assolutamente attendibile per l'uomo, cosa si farebbe? Si incoraggerebbero i ragazzi a drogarsi in modo che poi possano prendere una specie di pillola del giorno dopo? Tutto questo, quindi, non ha alcun senso.
Per mettersi in contatto con il Comitato Scientifico EQUIVITA:
tel 06-32110421 o 335-8444949
mail:equivita@equivita.it