Uno studio, di recente pubblicazione, ha dimostrato che un farmaco contro l'asma e le afte combatte l'obesità sui topi. Partiranno studi clinici su uomini obesi per verificare se il farmaco avrà lo stesso risultato ottenuto sulla suddetta specie. Un secondo studio pubblicato lunedì scorso condotto da ricercatori americani potrebbe, invece, far vacillare le tesi di base su cui si regge la sperimentazione animale e cambiarne il corso a livello mondiale.
I ricercatori della University of Michigan's Life Sciences Institute, guidati dal Dr. Alan Saltiel, hanno scoperto che Amlexanox, un farmaco usato in Giappone per il trattamento dell'asma e negli Usa per curare le afte della bocca, può contrastare la patologia tipica della società del 'benessere': l'obesità. pubblicato su Nature Medicine, lo studio condotto sui topi ha dato dei risultati positivi contro l'obesità, contro il fegato grasso ed è risultato efficace anche contro il diabete di tipo 2 causato dalla dieta.
Gli studiosi nel corso della ricerca hanno alimentato i topi con una dieta ricca di grassi fino a farli diventare obesi e hanno poi iniettato agli animali il farmaco. Le cavie hanno perso peso anche se ingerivano lo stesso numero di calorie giornaliere. Saltiel ha dichiarato che le diete, spesso, non danno risultati positivi in alcune persone perché l'organismo mette in atto un'azione di difesa a causa del ridotto apporto di calorie, riducendo il metabolismo.
“L'Amlexanox - dichiara Saltiel - riesce ad inibire nei topi i due geni che agiscono come una sorta di freno del metabolismo, aiutandolo a bruciare più calorie e a immagazzinarne di meno”. Il Dr. Alan Saltiel sta progettando di condurre studi clinici su uomini obesi e diabetici per verificare se il farmaco avrà lo stesso risultato ottenuto sui topi; “non ho idea se funzionerà o meno sui pazienti umani ma lo scopriremo” dichiara. Sono certa che non sapremo mai l’esito degli studi clinici fatti su pazienti umani perché dubito che saranno positivi; non c'è alcuna correlazione tra i geni dell'uomo e quelli dei topi.
Ad affermarlo è una nuova ricerca pubblicata l’11 febbraio, sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. I ricercatori del Massachussets General Hospital, guidati dal Dr. H. Shaw Warren, sostengono che la biologia del topo è completamente diversa da quella dell'uomo così come sono differenti nelle due specie sia le manifestazioni patologiche sia le risposte fisiologiche.
In altre parole, i ricercatori riferiscono che la scelta del topo quale modello per lo studio di malattie umane è stata del tutto fuorviante. I risultati della sperimentazione su topi non possono essere trasferiti sul modello umano per almeno tre diversi tipi di patologie (sepsi, traumi e ustioni), ma i ricercatori “hanno anche sollevato interrogativi inquietanti sull'attendibilità dei test condotti su malattie come quelle che coinvolgono il sistema immunitario, tra cui il cancro e le malattie cardiache”.
Come sono arrivati a queste deduzioni dopo dieci anni di studio? I ricercatori hanno studiato i globuli bianchi di centinaia di pazienti con traumi, ustioni e sepsi, per vedere quali geni venivano usati dai globuli bianchi per rispondere ai segnali potenzialmente pericolosi inviati dal corpo. Dopo aver raccolto numerosi dati il gruppo di lavoro ha cercato di pubblicare i risultati della ricerca su diverse riviste scientifiche senza però riuscirci; gli esperti, abituati a fare studi su topi, li hanno contrastati perché non avevano dimostrato come questa specie fornisse la stessa risposta genetica e per loro questo è il solo metodo per convalidare gli esperimenti.
Così i ricercatori coinvolti nello studio si sono posti la fatidica domanda: avviene lo stesso nei topi o no? Il gruppo di lavoro ha così deciso, allora, di condurre gli stessi studi su questa specie per vedere se ci fosse una equivalenza tra i dati raccolti su uomini e quelli su topi. Quando gli studiosi li hanno analizzati non hanno trovato nessuna corrispondenza tra i dati. Una sostanza che aveva agito nei topi disattivando un gene poteva aver avuto una risposta letale nell'uomo e soprattutto gli studiosi hanno sorprendentemente notato che le condizioni diverse nei topi (ustioni, traumi o sepsi) non creavano la stessa risposta; ad ogni condizione entrava in azione un gruppo di geni diversi mentre negli uomini si attivavano geni equivalenti in tutte e tre le condizioni.
“Il caso della sepsi è concreto”, ha dichiarato il Direttore scientifico dell'Ente Nazionale Protezione Animali (ENPA), Ilaria Ferri. “Ai pazienti sono state somministrate circa 150 terapie farmacologiche precedentemente sperimentate su topi: ebbene, nessuna di queste ha prodotto sull'uomo i risultati sperati, già osservati nelle cavie. Ogni anno - prosegue Ferri - milioni di animali vengono sottoposti a sofferenze terribili, moltissimi di loro perdono la vita.
La sperimentazione animale è inutile e paradossale perché alla fine, come dimostra la pubblicazione scientifica, anche noi uomini diventiamo cavie: topi di 70 kg sui quali vengono sperimentati farmaci inaffidabili in quanto sviluppati a partire da un modello inattendibile. Pertanto, fermare i test sugli animali significa salvare la vita a milioni di esseri senzienti e contribuire realmente al vero progresso della scienza medica”.
Lo studio di questi ricercatori americani sta smontando le tesi di base su cui si regge la sperimentazione animale e potrebbe cambiarne il corso a livello mondiale.
Commenti