Quanti sono nel mondo coloro che praticano ancora un’agricoltura umana, naturale, contadina, riuscendo così a nutrire le persone in equilibrio con la terra? Sono ancora tantissime, in Italia, in Europa, nel mondo. Anche in quel Terzo Mondo dove l’agricoltura intensiva industriale e la dittatura delle monocolture e degli ogm sta imperversando dando luogo ad una nuova forma di colonialismo spietato. Eppure queste esperienze passano sotto silenzio e vengono magnificate solo le inesistenti e immaginarie virtù di coltivazioni intensive geneticamente modificate che (c’è ancora chi ci crede), da sole, rappresenterebbero la chiave per sconfiggere la fame nel mondo.
Mary Ramadhani, giornalista del Tanzania Daily News, ha raccontato la storia di Bi Mng’ong’o, una donna di Iringa che ha speso tutta la vita a coltivare i campi per sfamare la sua famiglia di venti persone e le famiglie delle zone limitrofe. Ha sempre posseduto un pezzo di terra e ha coltivato una grande varietà di cibi, mais, cipolle, fagioli, patate. Pratica l’agricoltura tradizionale e seleziona lei stessa i demi da piantare. Ha sfamato una famiglia di oltre venti persone, ha rifornito di cibo altre famiglie che vivono in aree vicine e le sono sempre rimasti prodotti da vendere anche al mercato.
Ha sempre detto alle ragazze che le facevano visita: “Una donna è forte abbastanza per affrontare tutto nella vita, oltre ad avere emozioni potenti e potere di persuasione. Questa non è debolezza, è la forza di aiutare la comunità a far bene, vivendo in pace e armonia, rendendo il mondo più felice e un luogo migliore dove vivere”. Bi Mng'ong'o ha sempre guidato il suo trattore e l’unico momento in cui ha bisogno di aiuto è nella stagione della semina e in quella del raccolto. E bada anche a che gli alberi crescano e l’ambiente circostante sia mantenuto pulito.
Ma Bi Mng'ong'o non è certo l’unica. Il mondo è pieno di donne dedite a preservare la terra in tanti modi. Basti pensare a Vandana Shiva, indiana, che ha dedicato la sua vita all’agricoltura sostenibile e alla lotta contro gli ogm. Mente scientifica, curriculum accademico, ma anche legatissima alla tradizione secolare del rispetto della natura, Vandana Shiva ha scritto innumerevoli libri sull’argomento e sta spendendo ogni sforzo per affermare un modello di sviluppo sostenibile, anche agricolo. “Ci sono stati due fatti importanti che mi hanno indotto a concentrarmi sull’agricoltura – ha spiegato Vandana ad un convegno a Dar Es Salaam – uno è stato il disatro di Bhopal, nel 1984, alla fabbrica di pesticidi, dove morirono tremila persone subito e trentamila successivamente a causa degli effetti di quel disastro. Poi le violenze nel Punjab, quando sempre nel 19084 vennero uccisi I contadini. Perché l’agricoltura generava così tanta violenza e morte? Allora mi sono detta che era venuto il momento di una rivoluzione verde e ho dedicato la mia vita a un’agricoltura non violenta, basata sul rispetto della biodiversità e sui diritti umani. L’aumento della produzione agricola non può essere frutto della distruzione del sistema ecologico e della perdita dei fattori nutritivi dei cibi. Bisogna concentrarsi sull’agricoltura di piccola scala, lasciando i contadini sulle loro terre”. Nel 1982 Vandana Shiva ha fondato il Research Foundation for Science, Technology and Ecology, che ha portato alla creazione di Navdanya nel 1991, un movimento nazionale che punta a proteggere la diversità e l’integrità delle risorse viventi, dei semi locali e a promuovere l’agricoltura biologica e il commercio equo. Negli ultimi 20 anni la Fondazione ha lavorato con tante comuntà a livello internazionale, ha creato 34 banche dei semi in 13 regioni dell’India e ha contribuito alla conservazione di oltre 2000 varietà di riso. Oltre 70.000 contadini fanno parte di Navdanya. Nel 2004 Vandana Shiva ha avviato l’esperienza di Bija Vidyapeeth, un college internazionale per le pratiche sostenibili nella Doon Valley.
Si ringrazia Mary Ramadhani.